Questa settimana, come tradizione, prede avvio il “ Torneo Giovanile Karol Wojtyla” che ha ormai assunto una dimensione internazione per la provenienza delle squadre.
Giovanni Paolo II, lo sappiamo era molto vicino al mondo dello sport, come dimostrano innumerevoli discorsi, incontri, dialoghi.
Lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato e forse riscattato, oggi, dagli eccessi del tecnicismo e dal professionismo mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l’apertura degli uni verso gli altri, come espressione della ricchezza dell’essere, ben più valida e apprezzabile dell’avere, e quindi ben al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica ed edonistica della vita. .. [ 12 Aprile 1984 ]
Queste parole pronunciate da chi ben conosceva il valore dello sport, sono da considerarsi utopistiche, espressione di una visione ideale, magari auspicabile, ma non certo reale? In un mondo dove tutto sembra ruotare intorno al denaro, alla fama, al successo, come quello dello sport, del calcio in particolare, ha ancora senso parlare di uno educazione, di “ valorizzazione della persona umana, di rispetto e responsabilità? Oppure il cinismo, l’individualismo, l’esasperazione della vittoria costituiscono la cifra ormai distintiva di tale mondo?
Ad uno sguardo superficiale, parrebbe che
l’ambiente dello sport, specie professionistico, non sia immune dalla crisi di
valori che coinvolge la società contemporanea. Le cronache sportive, del resto,
registrano episodi di violenza, di razzismo, ma anche esempi di trasgressione
in campo e fuori, non certo modello per
i nostri giovani. Tutto vero. Aggiungiamo poi che nello sport, nel calcio in
particolare, sono oggetto quasi di “ culto”,
personaggi mediatici, diremmo, capaci di “ bucare lo schermo non solo
per le loro abilità: acclamati, esaltati, “ idolatrati da tifosi e media.
Ma lo sport non è solo questo!! Se si osserva con
uno sguardo non parziale e distratto, si possono cogliere parole e gesti che
nobilitano anche l’attività sportiva, anche un ambiente, quello del calcio, i
cui protagonisti appaiono sempre di più solo come divi milionari. Ci riferiamo
a gesti che, nella loro semplicità, rispondono in qualche modo al messaggio di
Giovanni Paolo II.
Ecco alcuni esempi.
Al termine di una partita di calcio, il capitano
della squadra vincitrice della Liga Spagnola ( il nostro Campionato di calcio),
invece di alzare il trofeo, secondo tradizione, ha chiamato accanto a sè un suo
compagno di squadra e l’allenatore: ha voluto, in accordo con tutti i suoi
compagni, che loro due alzassero la coppa, loro che avevano combattuto una dura
battaglia contro il cancro. Ciò ha un enorme significato, soprattutto per un
mondo in cui hanno valore solo il
risultato, la vittoria, la fama, il riconoscimento, i premi, il denaro,
l’efficienza fisica. Con un simile gesto, il capitano ed i suoi colleghi hanno
dimostrato che ciò che conta è la “ vita”, quella reale, fatta di sofferenza,
di dolore, di speranza; la vera vittoria non è quella conseguita sul campo, ma
nella lotta quotidiana dell’esistenza, soprattutto quando questa è segnata
dalla malattia, dalla debolezza, dalla paura. E il successo sportivo, così,
diventa momento di condivisione, momento di amicizia, momento di autentica
gioia, proprio perché fondato su valori non effimeri, ma profondamente umani.
Ma in quella serata, così speciale, un’altra
immagine ha offerto un esempio di come lo sport dovrebbe essere vissuto: i
giocatori, in mezzo al campo, hanno festeggiato con i loro bambini, con loro
hanno ammirato lo spettacolo dei fuochi artificiali, con loro hanno voluto
gioire. Anche in questo caso, non possiamo non cogliere una piccola lezione di
umanità: la famiglia, gli affetti, la paternità ( in questo caso),
rappresentato il cuore, l’essenza della vita. Sul campo si gioca, si lotta per
ogni pallone, si perde e si vince, ma alla fine ciò che rimane, ciò che dà
senso alla vita anche di questi campioni, è tutto racchiuso in quell’abbraccio
tra una figlia e il suo papà. Del resto, uno di questi campioni, ad una domanda
specifica così rispose: “la piccola mi dà la vita intera!!” Chi ha così chiosato, è anche colui che, nel
momento più alto della sua carriera, quando ha segnato in Sud Africa il gol che
ha dato il Mondiale alla sua squadra, ha voluto “condividere” la sua gioia con
l’amico scomparso l’anno prima, un
calciatore che militava nella squadra rivale della stessa città: quella
maglietta con la scritta “ D.J sempre con noi” raccontava di un giovane
giocatore che, neppure nel momento del massimo trionfo, poteva dimenticare
l’amico e il dolore per la perdita.
E qualche giorno ha voluto ricordare Nelson
Mandela che egli incontrò per due volte. Nel 2007, mentre gli altri giocatori
preferirono riposarsi in hotel, egli, insieme ad altri tre colleghi volle
incontrare il grande leader recentemente scomparso…Tutto questo nella discrezione
e nel nascondimento, lontano dai riflettori mediatici che catturano ogni gesto
del campione di turno!!
“Vivete
da uomini che restano tra loro amici e fratelli anche quando gareggiate per la
“corona” di una terrena vittoria! Stringete le vostre mani, unite i vostri
cuori nella solidarietà dell’amore e della collaborazione senza frontiere!
Riconoscete in voi stessi, gli uni negli altri, il segno della paternità di Dio
e della fratellanza in Cristo! “ , così Giovanni Paolo II in occasione del
Giubileo Internazionale degli sportivi ( Stadio Olimpico 12 Aprile 1984).
Non stupisce, allora, che un tale giocatore, uno
dei migliori al mondo, sia applaudito in tutti gli stadi spagnoli, ma non solo:
in Francia ed in Scozia i tifosi della squadra rivale, per altro sconfitta, si
sono alzati in piedi per attribuirgli una commovente ovazione, un’ovazione al
calciatore, al suo talento, ma soprattutto un’ovazione alla persona, al suo
essere, alla sua umanità, alla sua semplicità ed umiltà. Certo, anche lui guadagna molto, ma è anche
vero che ha investito il suo denaro per acquistare un terreno per la
coltivazione della vite ed ha creato un’azienda vinicola nella sua regione
d’origine, per altro non particolarmente
ricca; sostiene economicamente la squadra in cui ha mosso i suoi primi passi da
calciatore….e altro ancora. La ricchezza, come si può constatare, può diventare
fonte di bene, occasione per aiutare gli altri, strumento per promuovere il
lavoro e, quindi l’uomo. Anche un campione che ha vinto 21 trofei a livello
nazionale e internazione con la stessa squadra, tre con la nazionale del
proprio Paese ( 2 europei ed un m mondiale), può incarnare valori autentici a
cui i giovani possono guardare per crescere secondo l’autentico spirito
sportivo, così spesso invocato da Beato Giovanni Paolo II.
Dedichiamo questo post ad un campione molto
speciale….anche senza “Pallone d’oro”.