Le
vacanze di un Papa…una sedia gialla ed una catechesi continua
La montagna
era connaturale alla sua spiritualità. Nelle montagne contemplava le
opere di Dio, e lui si abbandonava al loro Creatore. Finito di mangiare,
prendeva a camminare, da solo, anche per ore: così, diceva, stava a
quattr’occhi con il Signore
S. DZIWISZ, Una vita con Karol
Dinanzi al maestoso
spettacolo di queste cime possenti e di queste nevi immacolate, il pensiero
sale spontaneamente a Colui che di queste meraviglie è il creatore: “Da sempre
e per sempre tu sei, Dio”. In ogni tempo l’umanità ha considerato i monti come
il luogo di un’esperienza privilegiata di Dio e della sua incommensurabile
grandezza. L’esistenza dell’uomo è precaria e mutevole, quella dei monti è
stabile e duratura: eloquente immagine dell’immutabile eternità di Dio. Sui
monti tace il frastuono caotico della città e domina il silenzio degli spazi
sconfinati: un silenzio, in cui all’uomo è dato di udire più distintamente
l’eco interiore della voce di Dio. Guardando le cime dei monti si ha
l’impressione che la terra si proietti verso l’alto quasi a voler toccare il
cielo: in tale slancio l’uomo sente in qualche modo interpretata la sua ansia
di trascendenza e di infinito. Quale suggestione si prova nel guardare il mondo
dall’alto, e nel contemplare questo magnifico panorama da una prospettiva
d’insieme! L’occhio non si sazia di ammirare né il cuore di ascendere ancora;
riecheggiano nell’animo le parole della liturgia: “Sursum corda”, che invitano
a salire sempre più in alto, verso le realtà che non passano e anche al di là
del tempo, verso la vita futura. [ Aosta, Angelus 7 Settembre 1986]
"Davanti a questo panorama di prati, boschi, torrenti, cime svettanti verso il
cielo, noi tutti ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le meraviglie
delle sue opere e vogliamo ascoltare in silenzio la voce della natura al fine di
trasformare in preghiera la nostra ammirazione; queste montagne infatti
suscitano nel cuore il senso dell'infinito, con il desiderio di sollevare la
mente verso ciò che è sublime». [Val Visdende, Belluno, 12 Luglio 1987]
La montagna da
sempre ispira illuminati pensatori,
geniali poeti, letterati, artisti; ha in
sé qualcosa di speciale, di unico perché rappresenta l’uomo con le sue
aspirazioni, i suoi aneliti, il suo desiderio di realizzazione; in una parola,
rappresenta la VITA, cioè il cammino dell’esistenza umana tesa sempre e
comunque verso obiettivi alti o, semplicemente, verso quella meta che dà
compimento e senso all’agire, all’amare e al soffrire dell’uomo. La Vita è una
continua salita impegnativa, non priva di ostacoli, di imprevisti, di pericoli,
proprio come l’ascesa ad un monte.
I “sentieri”
della vita, infatti, così come quelli di un monte, sono spesso impervi ed erti
e non sempre facilmente percorribili. Anzi, chi sceglie quelli più facili e
agevoli, magari scorciatoie, alla fine si smarrisce senza trovare la meta
finale, come chiarisce splendidamente Petrarca in una lettera scritta al
fratello dopo la sua salita al monte Ventoso ( Provenza, Francia). Lo stesso
Dante più volte fa riferimento alla metafora della montagna per indicare il destino
dell’uomo, quindi il significato della sua vita. Non è un caso che il Poeta,
richiamandosi in parte alla tradizione, costruisca tutto il suo sistema
cosmologico sulla struttura del monte, uno dei quali, l’Inferno, è rovesciato,
mentre l’altro è un colle, il Purgatorio, la cui salita appare obbligata per
raggiungere il Paradiso.
Ma soprattutto
la Bibbia, per altro ispiratrice dei grandi Poeti citati, ci propone immagini
della montagna cariche di straordinaria eloquenza teologica e antropologica: il
Sinai,dove Dio ha “parlato” all’uomo; Moria, il monte testimone della fede di
Abramo. Gesù pronunciò il “ Discorso
delle Beatitudini”, su un monte e fu
crocifisso sul Golgota; come non ricordare poi l’apparizione di Maria sul Monte
Carmelo? Questi sono solo alcuni esempi. Da tutto ciò si evince comunque quale
ruolo occupi la montagna nella storia dell’umanità e, in particolare, nella sua
dimensione religiosa, escatologica e antropologica.
Mons. Careggio ,
che spesso accompagnava il Papa,scrive: “ Se si pensa che Dio sui monti ha
incontrato l’uomo, che lo stesso Gesù
Cristo amava appartarsi solo sul monte per pregare, non stupisce affatto il
desiderio del suo Vicario che voleva salire sempre più in alto, per soddisfare
la sua sete di altezze e di intimi colloqui con l’Infinito” [ cfr Giovanni
Paolo II, l’uomo delle alte vette pag. 54].
Giovanni Paolo
II viveva veramente la montagna, anzi, potremmo dire, come la si deve vivere, come la vivono i veri
montanari. Con le vecchie scarpe e il bastone da montanaro, affrontava salite difficile , si arrampicava
lungo sentieri rocciosi ed erti, leggeva seduto su un tronco d’albero o in
un’insenatura rocciosa circondata dal verde di una natura rigogliosa; consumava
quindi il frugale pranzo al sacco con i suoi accompagnatori, guardie comprese,
con i quali, al termine, amava intonare qualche canto tradizionale: il Papa, è
bene ricordare, “ non incontrò mai la montagna da solitario, era lui stesso a
volerlo” ; si intratteneva “ con tutti, specie con chi incontrava lungo i
sentieri”: escursionisti, montanari, pastori.( ibidem, pag 61) . Al riguardo è
stupenda la fotografia che lo ritrae mentre conversa con dei contadini in
tenuta da lavoro, mentre una donna gli porge un semplicissimo vassoio
contenente dei dolci da lei preparati..
Durante
una dei suoi soggiorni in Val d’Aosta, invitato da un gruppo di giovani,
partecipò ad un loro incontro che prevedeva, per altro, anche canti intorno ad
un falò: come un semplice curato, egli, seduto in cerchio, condivideva la gioia
dei suoi giovani amici. Nell'estate 1987 , durante una delle escursioni, giunse inaspettatamente nel paese di Costalta, dove incontrò gli abitanti, increduli di fronte alla vista del Papa che, poi, pranzò in Canonica con il Parroco.
Amava la
montagna, ne amava i colori, i suoni o i non suoni, ma amava anche la fatica, i
disagi, gli sforzi che essa impone all’uomo che vuole giungere alla meta. Racconta
Lino Zani che un giorno, dopo un’escursione piuttosto impegnativa, la comitiva
papale giunse ai piedi di un’altura rocciosa sulla cui cima vi era un
crocifisso: il Papa, nonostante le resistenze da parte del suo seguito, si
arrampicò manifestando l’urgenza di pregare in quel luogo; i presenti, rimasti
ad attenderlo alla base, furono sconvolti dall’intensità e dalla durata della
preghiera che si faceva contemplazione.
Quanti racconti custodiscono i pochi
privilegiati testimoni di piccoli eventi di grande santità!! Del resto in Giovanni Paolo II, in una sintesi stupefacente, si concentravano l’elemento mistico, quello
metafisico, quello estetico e trascendente plasmando una personalità dalla rara
capacità di penetrazione sia del mondo interiore sia di quello esterno; “
provava, così, una forte emozione nel cogliere la voce della natura, ascoltare
ogni minimo fruscio, respirare gli intensi profumi del bosco. Amava godersi il
sole, l’aria, il vento, l’acqua tumultuosa e spumeggiante dei torrenti”così
come, “ intenso era il desiderio di toccare
la montagna , anche quando la nebbia o la pioggia tentavano di dissuaderlo
senza riuscirci” La ragione di una simile tensione è ben spiegata sempre da
Mons. Careggio: “vette e i ghiacciai, come le stelle del cielo, il fragore dei
torrenti e delle cascate, i placidi laghi alpini, le verdi praterie per
Giovanni Paolo II non furono altro che il linguaggio di Dio e il loro parlare a
noi di Dio” ; pertanto,“ teologia e profezia, bellezza e potenza, profondi
silenzi e voci arcane: questa è la montagna che il Papa ha celebrato con
accenti di sublime poesia” ( ibidem, pag,53).
E lo ha fatto
fino alla fine, persino in quell’ultima estate del 2004 quando, impossibilitato
a camminare, è comunque “ salito” sulle ”sue” montagne per contemplare la
maestosa semplicità di Dio, per volgere
a Lui lo sguardo in uno slancio d’amore mistico che preludeva l’Unione
definitiva con l’Infinito Amore il cui abbraccio lo avrebbe accolto solo pochi
mesi dopo. Abbiamo avuto la grazia, a due mesi dalla morte del Grande Papa, di
vedere quella semplice e comune sedia dal tessuto giallo su cui, l’anno prima,
si era seduto per contemplare la bellezza del Creato; in quel momento moti di
tristezza, di malinconia, di nostalgia, di gratitudine, di gioia e di stupore
hanno pervaso i nostri cuori e le nostre menti: quella banalissima sedia ci “parlava”
di un’assenza, di un vuoto incolmabile, ma ci “parlava” anche di uomo che, privato persino della forza di camminare e parlare,
da quella sedia volgeva lo sguardo verso la vallata, i boschi e i sentieri dei
monti, tante volte percorsi, e, contemporaneamente, invitava noi tutti a ad
abbandonarci a Dio, al Suo Infinito Amore; ci invitava ad alzare le nostre
menti e i nostri cuori, intorpiditi e accartocciati su se stessi, verso mete
più alte e luminose…ci invitava a “ scalare la montagna della Vita”, proprio come
lui aveva fatto per tutta la sua esistenza. Ecco, questo ci diceva quella
comunissima sedia gialla!!
Le vacanze di
Giovanni Paolo II , “teologo della montagna”, hanno rappresentato un’ulteriore
grandiosa catechesi che il grande Papa ha voluto donare a noi, suoi figli,
indicandoci così la Via che conduce alla vera felicità e alla vera pienezza . Ancora
una volta si è mostrato a noi quale maestro di umanità e di vita: godendo delle “ sue vacanze” , il Papa
ha insegnato a noi a godere
pienamente delle “ nostre vacanze”!!