Un
Papa e l’Italia
Il
rapporto tra le Istituzioni dello Stato Italiano e quelle della Chiesa ( nello
specifico, lo Stato del Vaticano), nel
corso della loro lunga storia è stato segnato da numerose e gravi conflittualità,
non raramente causa di ferite profonde e laceranti. Certamente la “ Presa di Porta
Pia ( 20 settembre 1870) sancì di fatto la fine del potere temporale della
Chiesa, ma anche l’inizio della fase forse più drammatica di una plurisecolare
disputa che aveva coinvolto, da una parte, la Chiesa e, dall'altra l' Impero, Comuni,
Signorie prima, e, quindi lo Stato italiano.
In
fondo, al di là della cosiddetta “ questione romana”, anche nel corso della
seconda metà del XXI non sono mancate incomprensioni . Forse il Trattato Stato – Chiesa firmato nel 1984 ha, almeno in
parte, chiarito alcuni aspetti fino ad allora fonte di accese discussioni ed
equivoci. La premessa era necessaria.
Quando
il Papa Giovanni Paolo II, il 14 Novembre 2002, ha fatto il suo ingresso nell'Aula di Montecitorio, sede del Parlamento italiano, non pochi, allora,
compresero la straordinarietà dell’evento. Per quanto da tempo i rapporti tra
Stato e Chiesa fossero sensibilmente migliorati, la presenza del Papa, Capo
anche dello Stato del Vaticano, rappresentava simbolicamente l’avvenuta
ricucitura di una ferita che per troppi secoli aveva lacerato la società
italiana. In quell'occasione qualcuno fece notare, non a torto,la nazionalità
del Pontefice che stava facendo il suo ingresso nel cuore delle Istituzioni
Italiane, il Parlamento, simbolo della sovranità nazionale: un non Italiano,
per di più Polacco. Per chi crede nulla avviene casualmente; un disegno guida
gli eventi della Storia, sempre e comunque. Forse solo un Papa straniero,
libero da quei “lacci” costituiti da un passato, forse anche un presente,
glorioso, ma anche ingombrante, poteva presentarsi davanti ad un Parlamento per
lanciare un messaggio alto e universale. Non solo: Giovanni Paolo II,
provenendo da una Nazione in cui la Chiesa era sempre stata motivo di coesione
di un popolo, una Chiesa che si identificava con la stessa Nazione e la cui
nascita coincide con il suo “ battesimo”, più di chiunque altro aveva autorità
e credibilità!!
Giovanni
Paolo II che già allora era considerato il “ Papa di tutti”, anche del suo
nemico di sempre “ Marco Pannella” ( significativo il saluto tra i due, per
nulla di circostanza!!) si dimostrò ancora una volta profetico nella sua lucida
e appassionata disamina del passato, del presente e del futuro.
Passato
"Tentando di gettare uno sguardo sintetico sulla
storia dei secoli trascorsi, potremmo dire che l'identità sociale e culturale
dell'Italia e la missione di civiltà che essa ha adempiuto ed adempie in Europa
e nel mondo ben difficilmente si
potrebbero comprendere al di fuori di quella linfa vitale che è costituita dal
cristianesimo”
Il
Papa ha ribadito che la civiltà Roma,
con il suo patrimonio culturale e morale, con la ricchezza del suo pensiero
politico e giuridico, ha posto le basi , le fondamenta di quell’humanitas il cui compimento si sarebbe
manifestato con l’avvento del cristianesimo. Già i Romani, infatti, non solo
avevano sentenziato che ogni diritto ha come riferimenti l’uomo, ma avevano
posto la conseguenza politica di tale convinzione:la res publica ( la cosa
pubblica) deve costituire la vera ed
unica finalità di quanti operano nell’ambito politico. Cicerone, il grande
oratore romano, definisce “ beati coloro che “hanno salvato, aiutato,
accresciuto la patria” ( Somnium
Scipionis). Una lezione tutt’altro che anacronistica!!
D’altra
parte, solo con il Cristianesimo la visione dell’uomo, quindi dei suoi diritti,
ha trovato la ragione ultima e definitiva, capace di offrire una risposta
totalizzante al bisogno di dignità insita nell’uomo di ogni tempo e spazio
geografico.
Presente
“Le sfide che stanno davanti ad uno Stato democratico
esigono da tutti gli uomini e le donne di buona volontà, indipendentemente
dall'opzione politica di ciascuno, una
cooperazione solidale e generosa all'edificazione del bene comune della Nazione”
Le
sfide che il papa allora scorgeva con impressionante chiarezza continuano ad
interpellare tutti noi. La democrazia, Giovanni Paolo II lo sapeva bene, non è
un punto d’arrivo, ma di partenza. I conflitti politici, la corruzione, la
crisi dei valori, un errata concezione della libertà, la condizione della
giustizia e delle carceri, la denatalità: il Papa non ebbe allora timore di
denunciare tutto questo. Non era un idealista e neppure un ingenuo e conosceva
al tal punto i problemi dell’Italia da voler elevare una preghiera per il Paese
che tanto amava. Ma, lo sappiamo bene, il Papa non si chiudeva in un laconico
pessimismo, in visioni “ apocalittiche”, piuttosto indicava la strada da
seguire per ridare a tutti noi Italiani, ma non solo, il coraggio di lottare
per il nostro futuro
Futuro
“E’ necessario stare in
guardia da una visione del Continente che ne consideri soltanto gli aspetti
economici e politici o che indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati
ad un consumismo indifferente ai valori dello spirito. Se si vuole dare durevole stabilità alla nuova unità
europea, è necessario impegnarsi perché essa poggi su quei fondamenti etici che
ne furono un tempo alla base, facendo al tempo stesso spazio alla ricchezza e
alla diversità delle culture e delle tradizioni che caratterizzano le singole
nazioni”
Un
profeta non di sventura, ma un padre a cui stanno a cuore i suoi figli, prima
di tutto, dimostra fiducia, dona speranza, non sermoni. La fiducia manifestata
da Giovanni Paolo II non aveva però il sapore del paternalismo né era fondata su principi astratti: egli,
infatti, davanti ai parlamentari parlò di “una convinta e meditata fiducia nel patrimonio di virtù
e di valori trasmesso dagli avi”, unendo così passato, presente e futuro.
L’azione politica,come già affermavano gli
antichi, è tesa infatti alla
realizzazione del “ bene comune” ; in un certo senso si giustifica solo in una
prospettiva di “ cooperazione solidale”
attraverso cui è possibile affermare la dignità non solo del cittadino, ma
soprattutto della persona in quanto Immagine di Dio. Giovanni Paolo II, nel
ricordare questa verità, sollecitava i presenti a non considerare l’esistenza
umana come un coacervo di eventi casuali o dettati solo da una cieca necessità,
secondo la lezione di Machiavelli.Egli, piuttosto, indicava la presenza di una
“ logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il
dialogo tra gli uomini e tra i popoli"
Ed appunto a tale “
logica morale” il Papa si richiamava quando, citando una sua Enciclica dal valore profetico,
individuava il “rischio dell'alleanza
fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni
sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del
riconoscimento della verità”. Ed allora, per
Giovanni Paolo II la “ logica
morale”, lungi dall’essere un mero codice adattabile alle circostanze ed
ai tempi, trova la sua ragione più profonda e duratura nella “verità ultima” ,
quella Rivelata da Cristo e dal suo Amore donato all’umanità. Il Papa, con una
lucidità impressionante e un ‘ audacia propria dei veri profeti, non ebbe
allora il timore di affermare che “se non esiste nessuna verità ultima che
guidi e orienti l'azione politica, le idee e le convinzioni possono essere facilmente
strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte
facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la
storia"!!Chi, più di Giovanni Paolo II, avrebbe potuto pronunciare simili
parole?
Cosciente delle grandi sfide che avrebbero
impegnato l’Italia e il mondo, il vecchio Papa, concludendo il suo discorso,
volle allora lanciare un monito, il suo
lascito culturale, morale e spirituale: “Per
questa grande impresa, dai cui esiti dipenderanno nei prossimi decenni le sorti
del genere umano, il cristianesimo ha un'attitudine e una responsabilità del
tutto peculiari: annunciando il Dio dell'amore, esso si propone come la
religione del reciproco rispetto, del perdono e della riconciliazione. L'Italia
e le altre Nazioni che hanno la loro matrice storica nella fede cristiana sono
quasi intrinsecamente preparate ad aprire all'umanità nuovi cammini di pace,
non ignorando la pericolosità delle minacce attuali, ma nemmeno lasciandosi
imprigionare da una logica di scontro che sarebbe senza soluzioni. Illustri
Rappresentanti del Popolo italiano, dal mio cuore sgorga spontanea una
preghiera: da questa antichissima e gloriosa Città - da questa "Roma onde
Cristo è Romano", secondo la ben nota definizione di Dante (Purg.
32, 102) -chiedo al Redentore dell'uomo di far sì che l'amata Nazione italiana
possa continuare, nel presente e nel futuro, a vivere secondo la sua luminosa
tradizione, sapendo ricavare da essa nuovi e abbondanti frutti di civiltà, per
il progresso materiale e spirituale del mondo intero”.
Le parole di un profeta, parole quanto mai
attuali in un periodo di grave smarrimento, di incertezza, di rassegnazione.