venerdì 27 luglio 2012


10 anni fa...la storia continua

Il 27 Luglio di 10 anni fa, il Papa Giovanni Paolo II partecipava, insieme ai giovani provenienti da tutto il mondo, alla Veglia in occasione di quella che sarebbe stata la sua “ ultima” GMG, ultima solo per quanto riguarda la presenza fisica, non certo per quella spirituale, più potente e travolgente!! E’ bene ricordare subito che quel Papa, mostratoci dai media malato ricurvo su se stesso, dall'eloquio stentato e faticoso, iniziava, con il viaggio in Canada, un pellegrinaggio che lo avrebbe condotto in Guatemala e in Messico …un itinerario estenuante per chiunque, ma umanamente impossibile per un uomo nelle condizioni di salute estremamente precarie.
I giovani di allora, non si fermarono davanti alla vista di un “ vecchio” che manifestava, con sconcertante evidenza, tutti i tratti della decadenza fisica. In fondo, recandosi a Toronto, non avevano neppure la certezza che avrebbero compreso facilmente i contenuti del discorso e dell’omelia del Papa; forse avrebbero incontrato addirittura difficoltà nel distinguerne le parole. Gli stessi giornalisti e accompagnatori del Papa, non solo si ponevano domande  sull’effettiva  oppotunità del viaggio, ma nutrivo seri dubbi circa il suo esito, convinti che la debolezza fisica avrebbe avuto, alla fine, il sopravvento, limitando sensibilmente l’efficacia stessa dell’azione apostolica.
In un contesto simile che senso avrebbe potuto avere, quindi, partecipare alle giornate finali della GMG? Ma i giovani della “ generazione GPII” non avrebbero rinunciato per “ nulla al mondo”, animati come erano da una granitica certezza: dal Canada sarebbero tornati arricchiti e questo  non solo in virtù dell’incontro  con numerosi coetanei provenienti dai diversi Continenti o per le qualificanti catechesi, ma anche grazie alle parole pronunciate stentatamente da un vecchio e “ malandato” Papa.  In effetti, quelle parole sono giunte come un sibilo assordante al cuore e alla coscienza di molti, anche di chi non era fisicamente a Toronto, anche di chi non ha mai partecipato ad una GMG.
Nel corso della Veglia, il Papa chiarì,  più per i solerti giornalisti e prelati che per i giovani presenti, quali motivazioni lo indussero ad intraprendere la grande avventura delle GMG: permettere alle nuove generazioni di “ incontrare Cristo, l'eternamente giovane, ed imparare da Lui a divenire gli evangelizzatori degli altri giovani”. Giovanni Paolo II, quando diede inizio alle GMG, sapeva di rischiare, sapeva bene che poteva trattarsi di una sfida audace, se non incosciente, forse destinata al fallimento. Diciamola tutta: in quel lontano 1986 i molti estimatori di oggi, allora dimostrarono imbarazzo o, quanto meno, scetticismo e perplessità. Ma Giovanni Paolo II, il Papa mistico, sapeva che laddove c’è Cristo, non vi è motivo di temere: è possibile osare l’inosabile!! Dalla prima all’ultima GMG a cui partecipò fisicamente, Giovanni Paolo II non è mai venuto meno a tale proposito: aiutare i giovani a riconoscere in Cristo “la ‘pietra angolare’ su cui è possibile costruire saldamente l'edificio della propria esistenza” nella certezza che “solo Lui, conosciuto, contemplato e amato, è l'amico fedele che non delude, che si fa compagno di strada e le cui parole riscaldano il cuore”.
Zakopane [ Pellegrinaggio Polonia amicibrescianiGPII]
Con una lucidità che si faceva profezia, non esitò a denunciare il fallimento di una società, quella tecnologica, quella dell’efficienza produttiva ostile o indifferente alla dimensione religiosa ed etica, una società che, come Egli osservò, “tentando di costruire la città dell'uomo senza fare riferimento a Lui ed ha finito per edificarla di fatto contro l'uomo”. Il Papa, da uno dei Paesi occidentali più industrializzati, ammoniva l’umanità intera ricordando che “non si può rifiutare o emarginare Dio, senza esporsi al rischio di umiliare l'uomo”. A distanza di 10 anni, queste parole risuonano come un monito profetico, oggi di straordinaria attualità per un mondo soffocato dalla paura, dall’indifferenza, dalla violenza;  un mondo, quello occidentale che, nella sua arrogante sicurezza, pensava di aver raggiunto l’apice del progresso, della scienza intellettuale, forse anche religiosa e che, invece, sembra oggi più che mai sull’orlo di un abisso.

 Giovanni Paolo II, il Papa che si rivolgeva ai giovani chiamandoli amici, dimostrò però tutta la sua fiducia affidando loro un compito grandioso: “Proprio per questo io dico a voi questa sera: fate risplendere la luce di Cristo nella vostra vita! Non aspettate di avere più anni per avventurarvi sulla via della santità! La santità è sempre giovane, così come eterna è la giovinezza di Dio. Comunicate a tutti la bellezza dell'incontro con Dio che dà senso alla vostra vita.”Questo messaggio di un padre, preoccupato ma fiducioso, appare quanto mai vivo per le presenti e future generazioni, proprio in quanto costruito non tanto su argomentazioni  dottrinali e teologiche, pur importanti, ma sulla credibilità di un uomo che, nella sua carne rendeva visibile e credibile il messaggio stesso con un’eloquenza di rara efficacia. Come potevano i giovani non comprendere o non credere a quanto ascoltavano, anche se non ne distinguevano bene i suoni e le parole? In fondo, chi invitava alla “ santità” era colui che, a distanza di tre anni la folla acclamava come “ santo” e che, pochi anni dopo, sarebbe stato proclamato Beato.
Lo abbiamo già scritto, ma è bene ricordarlo: un notissimo e autorevolissimo segretario pontificio non si stanca di ripetere che i giovani andavano alle GMG presiedute da Giovanni Paolo II più per “vedere” che per “ ascoltare” . Non ci interessa il senso di tale asserto né la sua finalità, ma possiamo dire che contiene in sé una sua verità nella misura in cui si intenda “ vedere” come “ trasfigurazione” visibile del messaggio. Sì, i giovani a Toronto hanno ascoltato uno messaggio di rara completezza e profondità teologica ed esegetica, lo hanno da un Papa che, nel momento in cui annunciava la prossima GMG, nel suo intimo era consapevole che la sua sarebbe stata una presenza ben diversa, certamente più potente e luminosa!! Proprio come lo sono state le successive e lo saranno le future, sempre e comunque!!

venerdì 20 luglio 2012


Bob Dylan…e una sera di Settembre!!

Qualche giorno fa, a Barolo ( Cuneo), si è esibito uno dei più grandi cantautori americani, colui che, secondo un giudizio unanime, ha rivoluzionato il mondo della musica d’autore divenendo la voce di intere generazioni. Stiamo parlando di Bob Dylan, recentemente insignito di un’alta onorificenza dallo stesso Presidente degli Stati Uniti.
E’ legittimo chiedersi che cosa abbia in comune il “ menestrello del Minnesota”e Giovanni Paolo II. Per rispondere bisogna ritornare con la memoria a  quanto accaduto una sera di 15 anni fa, in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale tenutosi a Bologna. Gli organizzatori, non senza l’imbarazzo di qualche autorevolissimo Cardinale, vollero riunire in una grande festa i giovani, il Papa e i più importanti cantanti italiani e stranieri, tra i quali Bob Dylan. Alcuni di noi erano presenti in quella notte che rimarrà indelebilmente scolpita nel cuore e nella mente.
Precisiamo subito ch Dylan è stato, ed è,  in qualche modo, il “ mito” della nostra generazione,l’artista che, con le sue canzoni, ha alimentato i sogni di giovani animati da ideali di pace, speranza, giustizia, libertà. In effetti, pur vivendo un intenso e solido cammino di formazione religiosa, negli Oratori o nei Movimenti, non eravamo indifferenti alla cosiddetta musica leggera e neppure ai complessi rock o beat famosi in quegli anni. Per qualcuno di noi Bob Dylan rappresentava il “ top” , anche e soprattutto per i messaggi veicolati dalle sue “ poesie” in musica. D’altra parte,non possiamo negare che talvolta ci sorgeva un dubbio legittimo: i nostri gusti musicali potevano coesistere con l’educazione religiosa, con il nostro essere cristiani e cattolici? Gli adulti, in un certo senso la Chiesa stessa, sembravano nutrire qualche perplessità. Come, infatti, prestare credito a certi musicisti,  ribelli e anticonformisti, pseudo – icone e pseudo- maestri di un mondo giovanile impegnato a sovvertire regole, costumi, valori? In fondo, i nostri genitori, i nostri educatori  neppure certi alti prelati, non avevano del tutto torto..ma forse non sapevano guardare oltre l’apparenza, oltre i limiti, pur evidenti, di un fenomeno nuovo!!
Poi…ecco un uomo, addirittura un Papa che sembrava dicesse: “venite con me ad ascoltare la musica che vi piace, l’ascolto anch’io, l’ascoltiamo insieme; vi aiuterò a gioirne e a goderne nel modo bello e positivo”. Vedere quindi il nostro cantante preferito, Bob Dylan, cantare davanti al Papa,  “ il nostro Papa”, e inchinarsi davanti a lui, è stato molto più di un sogno. Abbiamo continuato ad amare la bellezza della classici, ad ascoltare Chopin e Mozart, ma  abbiamo preso coscienza che la nostra fede non si sarebbe indebolita per le emozioni provate durante un concerto di Dylan o Baglioni, anzi!! Abbiamo amato ancora di più la Chiesa perché, lei sola, ci rispettava, ci “ prendeva sul serio”,  accogliendo tutto di noi e non minimizzando affatto i nostri interessi, le nostre passioni, i nostri gusti. Il  Papa stesso, con quell’audacia apostolica che lo contraddistingueva,  ci aiutava a comprendere quanto essere di Cristo non significasse assolutamente escludere parte di noi, “ violentare” la nostra umanità, tutt’altro. In ogni aspetto dell’esistenza, fosse anche una canzone non “ religiosa”, è possibile trarre uno spunto, un’ispirazione che poi si può tramutare in messaggio positivo e valoriale.  Giovanni Paolo II, il quella sera del 27 Settembre 1997, fece proprio questo : riuscì ad estrapolare il meglio dalla canzone più nota di Dylan, quel Blowin’ In The Wind che, proprio in questi giorni, compie 50 anni.
Così si espresse il Grande Papa:
Poco fa un vostro rappresentante ha detto, a vostro nome, che la risposta alle domande della vostra vita "sta soffiando nel vento". E' vero! Però non nel vento che tutto disperde nei vortici del nulla, ma nel vento che è soffio e voce dello Spirito, voce che chiama e dice "vieni!" (cfr Gv 3, 8; Ap 22, 17).
Mi avete chiesto: quante strade deve percorrere un uomo per potersi riconoscere uomo? Vi rispondo: una! Una sola è la strada dell'uomo, e questa è Cristo, che ha detto "Io sono la via" (Gv 14, 6). Egli è la strada della verità, la via della vita. Vi dico perciò: ai crocicchi in cui si intersecano i tanti sentieri delle vostre giornate, interrogatevi sul valore di verità di ogni vostra scelta. Può succedere, talora, che la decisione sia difficile e dura, e che la tentazione del cedimento si faccia insistente. Capitò già ai discepoli di Gesù, perché il mondo è pieno di strade comode e invitanti, strade in discesa che s'immergono nell'ombra della valle, dove l'orizzonte si fa sempre più ristretto e soffocante. Gesù vi propone una strada in salita, che è fatica percorrere, ma che consente all'occhio del cuore di spaziare su orizzonti sempre più vasti. A voi la scelta: lasciarvi scivolare in basso verso le valli di un piatto conformismo o affrontare la fatica dell'ascesa verso le vette su cui si respira l'aria pura della verità, della bontà, dell'amore”.
Queste parole, ispirate dal testo della canzone più famosa di uno dei più grandi artisti internazionali, il “ mito delle ultime generazioni,  ebbero la forza e il potere di scuotere il cuore e la mente delle centinaia di migliaia di giovani presenti. Fu una grande festa, come allora confidò il Papa che, con il suo grande cuore, così si rivolse a noi: “Carissimi giovani, vi ringrazio per questa festa, che avete voluto organizzare come una sorta di dialogo a più voci, dove musica e coreografia ci aiutano a riflettere ed a pregare”. Anche grazie a simili esperienze, abbiamo imparato che la fede è una realtà viva, concreta, incarnata nella storia, piccola o grande che sia; abbiamo imparato che tutto converge verso il Centro, Gesù Cristo, “Via Verità e Vita”.
A noi il compito, il meraviglioso compito, di non tralasciare alcun sentiero che ci porti a Lui, ma di aprire cuore e intelligenza per intraprendere percorsi spesso imprevedibili, lungo i quali possiamo però trovare una scintilla di verità!! Il beato Giovanni Paolo II non ha avuto paura di solcare cammini nuovi e inusuali, non ha temuto di ascoltare con i suoi giovani amici un cantante di nome  Bob Dylan. Un vero padre, un vero maestro, una vera guida, un testimone credibile!!!

lunedì 16 luglio 2012


Non solo " monumenti"..

Monumento al Beato Giovanni Paolo II
Santuario di Ludźmierzu [ Pellegrinaggio amicibrescianiGPII]
In questi anni sono stati eretti numerosissimi monumenti dedicati a Giovanni Paolo II. Si può dire che ogni giorno viene data notizia circa l’inaugurazione di una Statua, di un mosaico, di una Via Crucis.
Hanno colpito la nostra attenzione due monumenti inaugurati l’uno a Managua ( Nicaragua) nel 2000, l’altro sabato 14 Luglio 2012 a Danzica ( Polonia)
Per motivi diversi, entrambi assumono un altissimo valore simbolico  in quanto legati a uomini che hanno fatto veramente la Storia. Non sono solo comuni “ statue”, ma segno indelebile di una memoria storica che noi abbiamo il dovere di tramandare alle nuove generazioni.
Il primo monumento è costituito da un obelisco su cui sono stati collocati due  tondi con due ritratti del Papa.  Non ci sarebbe nulla di particolare in tutto questo, se l’ubicazione non fosse una piazza di Managua. E’ bene ricordare allora i fatti per cogliere il reale significato di tale struttura monumentale.
Nel 1983 il Papa compie un Viaggio in un Nicaragua afflitto da una guerra civile fatta di violenze e soprusi, soprattutto da parte del governo allora al potere. Nel corso della S. Messa, il regime tollerò, se non addirittura organizzò, un grave sabotaggio a danno del Papa: durante l’omelia, un gruppo di facinorosi, dopo aver abbassato il microfono del Pontefice, ne tentò di coprire la voce con grida e schiamazzi, per altro amplificati da altri microfoni istallati in mezzo agli agitatori. Giovanni Paolo II, in quell’occasione, non si lasciò intimorire: con tutte le sue forze e la sua audacia, riuscì a completare il discorso. Così racconta G. Weigel, autorevole biografo del Papa: “ Giovanni Paolo II, in piedi sul bordo del palco, impugnò alla base il suo pastorale con la croce e lo agitò avanti e indietro per salutare le centinaia di migliaia di cattolici nicaraguensi che erano stati confinati nel settore più lontano dell’altare” [ “ Testimone della speranza, pag. 567] . Questo gesto, che oggi sarebbe guardato con un certo imbarazzo, ha in qualche modo contribuito al ritorno della democrazia e della riconciliazione in un Paese dilaniato da conflitti e da regimi autoritari.
A Danzica ( Polonia) è stato invece inaugurato un gruppo scultoreo raffigurante l'ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e papa Giovanni Paolo II. Già il fatto che un Presidente americano ed un Pontefice vengano ritratti insieme, è di per sé una notizia non comune..In che cosa consiste poi l’eccezionalità? Desideriamo ricordarlo ai più giovani, ma non solo. Quando Giovanni Paolo II venne eletto Papa, il mondo era sull’”orlo del baratro”: la Guerra Fredda non era una fantasia di osservatori stravaganti e creativi, era la realtà di missili schierati, di muri invalicabili, di cortine insuperabili, di mondi divisi e incomunicabili!! La stessa Polonia, per molti di noi, era solo il nome del Paese la cui invasione scatenò la Prima Guerra Mondiale: il casus belli, leggevamo sui manuali di storia. Allora le Bibbie arrivavano solo clandestinamente in Unione Sovietica e in non pochi Paesi a lei satelliti. Come raccontato da Linus Dragi Popian e da Georges Picu [ Nel mondo di Karol Wojtyla ], per un giovane rumeno o slovacco era impossibile diventare sacerdote o, semplicemente, professare la religione cattolica, mentre la Chiesa polacca era costantemente sotto controllo della Polizia segreta [ Lasota, Karol Wojtyla spiato]. Ma anche le arti come la danza e la musica, erano condizionate dalla realtà di quegli anni: il più grande ballerino del ‘900, fuggito dalla Russia nel 1961  alla ricerca della libertà, fu bandito  completamente dal suo Paese al punto che il suo nome, famoso in tutto il resto del mondo, non poteva essere neppure pronunciato!! Questi sono solo alcuni esempi che dimostrano quale fosse la reale situazione negli anni ’70.  Oggi l’Europa non ha più muri, cortine di ferro; i giovani rumeni non devono più ricorrere a Vescovi coraggiosi disposti ad ordinarli sacerdoti, anche clandestinamente e contro le indicazioni di Roma ( tra questi il Metropolita di Cracovia).Il nostro continente vive certo problemi di carattere economico e l’unità politica è lungi dall’essere realizzata, ma, grazie al contribuito di uomini quali Ronald Reagan e Giovanni Paolo II, i rappresentanti dei Paesi europei possono riunirsi ad un unico tavolo per tentare soluzioni efficaci e solidali. Non è poco.
Il monumento eretto a Danzica, città da cui tutto ebbe inizio,  assume quindi un valore ben più che simbolico: può rappresentare il “grazie” a due giganti che hanno veramente cambiato la storia del mondo e, insieme a quello inaugurato a Managua, può costituire, per le nuove generazioni, una straordinaria occasione di  memoria storica, condizione necessaria per riscoprire la nostra identità di cristiani e di cittadini europei e del mondo.

domenica 15 luglio 2012


Un Papa “carmelitano”

Nel 2011, in occasione della beatificazione del Papa, abbiamo avuto l’occasione di vedere lo scapolare indossato da Giovanni Paolo II, in pratica, fino alla fine come dimostrato da alcune fotografie.  Egli stesso, nel 1996, così confidò: “Lo ricevetti, credo all’età di dieci anni, e lo porto tuttora” [cfr. Dono e mistero]. E’ inutile dire  l’immensa emozione suscitata  alla vista di quei due semplicissimi pezzetti di feltro, per altro consunti dall’uso. Ma quei due pezzetti di stoffa, logori e sbiaditi, hanno un valore incommensurabile: sono una sorta di “ testamento spirituale” donato a noi tutti, perché possiamo veramente  divenire “ cristiani adulti”. Questa può apparire un’affermazione paradossale: come è possibile che un segno della devozione popolare, per di più desueto, possa rivelarsi un potente strumento per il nostro cammino spirituale, morale e intellettuale?
Il Papa, in realtà, era ben conscio del valore dello scapolare che rappresenta uno dei segni più tangibili della spiritualità carmelitana. Del resto, se è vero che Karol Wojtyla si vide negare dal suo Vescovo il permesso di entrare nel convento dei Carmelitani, è altrettanto evidente che Giovanni Paolo II sia stato per tuta la sua vita un “ Carmelitano”:  il suo cuore, la sua anima, la sua mente hanno respirato all’unisono con la grande “scuola” spirituale a cui erano legate figure quali S. Teresa del Bambino Gesù e S. Giovanni della Croce,  due Grandi mistici, modello sublime di santità.

Indossare lo  scapolare, per Giovanni Paolo II, significava “ mettersi  in  Dio” attraverso una comunione e una familiarità totali e indissolubili con Maria, la Madre di Gesù.  Farsi “ tutto di Maria” ,“ indossandone l’abito”, implicava per lui  una partecipazione reale al rapporto di figliolanza con Colei che ha portato nel suo grembo Dio incarnato, quel Dio da Lei contemplato e ascoltato in modo incomparabile con una qualsiasi sapienza o saggezza umana.
Ma io sapevo”, così, rivolgendosi a Gesù, si esprime Maria mentre ricorda i giorni trascorsi a Nazareth, tempo in cui parole come “ Mamma, mamma”[da K. Wojtyla,  Primo istante del corpo adorato] risuonavano per le viuzze del villaggio avvolto dal silenzio mentre, lei ricorda, “la Tua vita si confuse con la vita dei poveri/ a cui volesti appartenere nella fatica quotidiana delle braccia”[ K. Wojtyla, Stupore davanti all’Unigenito]
Scapolare del Beato Giovanni Paolo II
 Che cosa sapeva la Madre? Ella sapeva che quella quotidianità in cui era immersa la vita sua e di suo Figlio, quei giorni così ordinari e straordinari al tempo stesso, contenevano la Luce;  quella Luce, ancora celata all’umanità,  ma presente, era Colui che, “frutto della sua carne” [ ibidem] , Ella aveva nutrito con il suo sangue: Sei Tu, dice infatti la Madre.  Ella sapeva che tutto proviene dal Figlio, tutto da Lui dipende: nella sua straordinaria semplicità, Maria aveva compreso l’Essenza della Verità, anzi era incessantemente e totalmente in rapporto con Essa e da Essa penetrata al punto da poter dire, parlando al Figlio: pure fosti più mio in quel bagliore, in quel silenzio/ che come frutto della mia carne e del mio sangue [ibidem]. Un’intimità che non ha eguali, un’appartenenza unica e, in un certo senso, insondabile. Maria contempla il Figlio come Mistero, come il Dono affidatole da Dio stesso, non come proprietà della sua carne e del suo sangue: c’è tutto il  “Sì” di Lei nella libertà dell’accoglienza, del dono di sé per ricevere il Dono di un Altro.

L’uomo,con le sole sue forze, non può giungere alla  conoscenza di Dio; può, al massimo, coglierne alcuni contenuti in virtù delle sue facoltà intellettive, grazie alle quali è possibile svolgere importanti esegesi bibliche e filosofiche. Ma, pur con tutta la volontà e l’acume, non è in grado di entrare nella dimensione di Dio. L’uomo, da solo, non può nulla: Maria è Colei che “guida tutti alla perfetta conoscenza ed imitazione  di Cristo”, è Colei che rende possibile l’impossibile: fa’ sì che l’uomo si possa “ rivestire interiormente di Gesù Cristo e manifestarlo vivente in sé per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità” [ 25 Marzo 2001].
Il vivere con Maria, mediante la preghiera e la contemplazione, realizza quella che il Papa definì “ alleanza e comunione reciproca tra Maria e i fedeli”, quella “ consegna che Gesù, sulla croce, fece a Giovanni, e in lui a tutti noi, della madre sua e quell’affidamento dell’apostolo prediletto di noi a lei, costituita nostra madre spirituale”. [ ibidem].
Lo scapolare, quindi, lungi dall’essere un mero oggetto obsoleto di un archeologia devozionale, è il segno più eloquente, più incisivo della presenza di Dio, un Dio che plasma, eleva, umanizza la vita dell’uomo su questa terra. Si potrebbe dire che “ Dio non morirà” fino a quando ci saranno uomini e donne tese a salire lungo sul “ monte Carmelo” per contemplare Maria,  per unirsi al Lei in un” Totus Tuus” filiale. E il beato Giovanni Paolo II, proprio come i grandi mistici, è vissuto del “ Carmelo” irradiando la bellezza di Dio in ogni angolo della terra. Il Papa Beato, solo in forza di questo suo affidamento alla Madre di Gesù, tenero e vertiginoso come un abisso, ha camminato lungo i sentieri del mondo e dentro la concretezza della storia.
Lo scapolare che Egli ha indossato fino alla fine e che, stando alle testimonianze, indossava il giorno dell’attentato, continua a “parlare” all’umanità di oggi indicando l’unica strada attraverso la quale l’uomo del XXI può incontrare Cristo: Maria, Sua Madre, il suo “ fiat”, il “suo vivere del Figlio”. In tal senso,i due pezzetti di stoffa, sbiaditi e consunti, si rivelano lascito teologico di eccezionale portata catechetica per la Chiesa impegnata nella Nuova Evangelizzazione profeticamente intrapresa dal grande Papa

mercoledì 11 luglio 2012


Vacanze umane, vacanze cristiane

Per molti sono iniziate le vacanze che rappresentano una momentaneo pausa dagli impegni quotidiani, siano questi lavorativi oppure scolastici. Da più parti vengono elargiti consigli per vivere una bella e riposante vacanza.
Zakopane, [pellegrinaggio amicibrescianigpii]
I nostri sacerdoti, giustamente, ci invitano poi a trascorrere queste giornate di relax come occasione per rinvigorire lo spirito, magari attraverso la lettura e la preghiera, recuperando quel valore del silenzio e della contemplazioni così difficili da sperimentare in altre contesti. Tutto vero. Ci piace però guardare  al modo in cui il beato Giovani Paolo II trascorreva le sue vacanze.. Al riguardo molto è stato scritto, mentre numerose sono le testimonianze; preziosissime anche le immagini di notevole impatto comunicativo.
Fin dagli anni ‘50, don Karol Wojtyla amava trascorrere alcuni giorni di vacanza  con i suoi giovani amici che facevano parte di un gruppo denominato Srodowisko ( ambiente).  A tal riguardo è noto un episodio che dice molto dell’audacia pastorale del futuro Papa. Così racconta Danuta Rybicka: “ Nella primavera del 1952 decidemmo di andare con tutta la combriccola a Zakopane, per vedere gli zafferani in fioritura. Tuttavia, alla stazione sapemmo che i ragazzi non avrebbero potuto accompagnarci. Il Prete, don Karol, vedendo le nostre facce tristi, prende una decisione coraggiosa, e cioè di partire soltanto con le ragazze..In queste condizioni non sappiamo come rivolgerci al sacerdote, per non provocare scandalo: infatti è vestito in “ borghese”, e all’epoca sarebbe già bastato questo come motivo di scandalo…..allora chiesi al prete il permesso di poterlo chiamare “zio” [ Wujek] “ Bisogna aggiungere che nella Polonia di allora era proibito organizzare attività pastorali in ambienti pubblici e al di fuori del controllo dello Stato...Una semplice gita di un sacerdote con i suoi ragazzi poteva essere motivo di denuncia presso le autorità.

E’ bello che un sacerdote accetti il “ rischio” per godere della fioritura di una pianta in compagnia di giovani amici…Ha dell’incredibile, ma forse ha anche un valore immenso sotto il profili educativo!!!
Divenuto Arcivescovo, Mons Wojtyla ha continuato a frequentare quei giovani, divenuti nel frattempo adulti; ma a loro, nel corso degli anni si sono aggiunte nuove persone che hanno così esteso l’esperienza dell’” ambiente”.
Dalla lettura delle testimonianze di quanti  parteciparono all’esperienza della vacanza, possiamo dedurre con chiarezza alcuni aspetti assai interessanti e innovativi per la Polonia del pre – concilio ( solo per la Polonia???).

Le vacanze prevedevano gite tra i boschi,  escursioni in montagna,  spedizioni in kajak; nella maggior parte dei casi tutti, con zaino in spalla, trascorrevano alcuni giorni all’aria aperta, in mezzo alla natura, e dormivano sotto le tende o in bivacchi di fortuna. I canti intorno al falò o giochi come la partita tra sposati e scapoli, a cui partecipava anche don Karol, allietavano alcuni momenti rimasti fissati nella memoria dei presenti, in particolare del futuro Papa.


Chi ha avuto la possibilità di osservare alcune fotografia, non può non aver notato il clima estremamente rilassato e spontaneo, in un certo senso, di grande familiarità fra tutti i componenti del gruppo. Qualcuno oggi potrebbe scandalizzarsi scorgendo un sacerdote, un  Vescovo seduto a terra con le gambe incrociate, con una bandana in testa, con i calzoncini corti….eppure tale immagine esprime la forza e la bellezza del Cristianesimo più di quanto possano fare certi timorosi formalismi, anche clericali!!!

La vacanze non era un campo – scuola, dove tutto è in qualche modo organizzato e pianificato, al fine di raggiungere determinati obiettivi educativi e pastorali; in un certo senso non vi era un responsabile " ufficiale". In realtà, infatti, era la semplice iniziativa di un gruppo di giovani - adulti a cui partecipava un sacerdote che amava condividere il tempo del riposo con i suoi amici e, come loro, amava camminare, ammirare la natura, dormire e mangiare all’aria aperta, cantare intorno al fuoco, attraversare i fiumi con un kajak. Se non era un campo scuola, era però una “ scuola di vita”. I giovani potevano confrontarsi tra di loro, parlare di tutto, veramente di tutto, con il sacerdote che, fatto non scontato neppure oggi, offriva a tutti “la possibilità di colloqui individuali durante l’escursione per via fluviale o a piedi in montagna”; per altro,in tal modo Egli ha  preservato i suoi amici “dalla possibile invidia dell’uno per l’altro”. (da  “L’amore e la sua regola”,Danuta Ciesielscy), pericolo non impossibile laddove, pur inconsapevolmente, si creano, nei rapporti tra laici e religiosi, dinamiche che tendono ad escludere più che ad includere.
Proprio in un contesto di questo tipo, i giovani hanno avuto la possibilità di formare ed educare la loro fede, la loro umanità, la loro capacità di relazione; non solo, hanno avuto l’opportunità di aprire e sviluppare la loro intelligenza anche per le sfide difficilissime che avrebbero dovuto affrontare, soprattutto quella per la libertà. E tutto questo accadeva anche grazie alla presenza di un uomo che stava veramente con i suoi: egli con il “ suo stare”, prima ancora che con discorsi, ha insegnato come vivere, come divertirsi, quindi, come dare un senso ad ogni istante dell’esistenza, comprese le vacanza divenute, per lui e per i suoi amici,  un modo speciale di esaltare la gloria di Dio.
 Scriverà Wanda Poltwaska “ il nostro soggiorno qui non è stato nient’altro che la diffusione del regno di Dio in noi”. E non poteva essere diversamente per chi aveva la grazia di poter vedere con i suoi occhi che “Don Karol Wojtyla cammina sì per le montagne, ma direi che piuttosto le contemplava. Man mano che camminavamo insieme diventava chiaro il fatto che per lui quelle gite erano un unico grande inno di lode in onore del suo Creatore . Il suo sguardo assorto, pieno di ammirazione per la bellezza della natura, era lo sguardo fisso sul Creatore. Ogni suo passo era una preghiera”…..Qui troviamo sintetizzata la grande e solida “teologia della vacanza”che nessun studio, nessun discorso potrà mai spiegare con altrettanta efficacia e profondità in quanto espressione di una vita veramente e integralmente vissuta nella certezza che “Cristo non ci strappa da noi stessi. Cristo non annulla nessuno di noi.”( Esercizi Spirituali ai giovani, 1962). 

mercoledì 4 luglio 2012


La vittoria dello Sport

Il post di oggi è sicuramente non in linea con i consueti temi, ma ci piace commentare l’esito della partita finale del Campionato europeo.
Ha vinto la Spagna, come tutti sanno, ma la nostra squadra non ha certo  dimostrato minori qualità, anzi. Bravi a tutti i giocatori, anche se, è inutile negarlo, gli Iberici, sotto il profilo calcistico, appartengono ad un altro pianeta o, forse no!!
Due considerazioni molto brevi da parte di chi non si intende di sport.
Noi crediamo che gli atleti in campo, tutti, nessuno escluso, abbiano in qualche modo dato prova di una grande sportività dimostrando quei valori che il Beato Giovanni Paolo II attribuiva anche all’attività agonistica: la fatica,  lo spirito di sacrificio, l’umiltà, l’amore per la “ maglia”, quindi per la Patria, la capacità di gioire e di soffrire, nella vittoria e nella sconfitta e, non ultimo, il rispetto per l’avversario. A tal proposito segnaliamo un episodio, sfuggito ai più.  I 90’ erano già trascorsi, le squadre stavano giocando i pochissimi minuti del cosiddetto “ recupero”, quando il portiere spagnolo si è avvicinato ad un arbitro per invitarlo a decretare la conclusione della gara per rispetto nei confronti degli Italiani. Il campione, vedendo quanto gli avversari erano stanchi e frustrati, non voleva che si infierisse ulteriormente: anche nello sport è importante e fondamentale rispettare la dignità dello sconfitto. Gli stessi vincitori  hanno accompagnato con un lungo applauso i loro avversari che ricevevano la medaglia da M. Platini. Una bella pagina di sport!!
La seconda considerazione riguarda la squadra Campione d’Europa. Siamo Italiani, ma non per questo non dobbiamo apprezzare i nostri avversari quando possono comunicare qualcosa di positivo.
I giocatori che, a Madrid, scendevano dall’aereo non avevano certo l’atteggiamento di chi, solo poche ore prima, era entrato nella “ leggenda”, se pur solo sportiva: sembravano ragazzi al ritorno da un campionato di terza, quarta categoria. Molta semplicità e sobrietà, nessun atteggiamento da “ divi.
La sera, poi, è stato un tripudio di allegria, di vera e sana allegria. La gioia dei Campioni era bella, pulita, spontanea  proprio come quella dei bambini: giocavano, ballavano, cantavano, scherzavano tra di loro, si divertivano e facevano divertire le centinaia di migliaia di tifosi convenuti nella Piazza principale di Madrid. E poi colpiva moltissimo l’amicizia, sì l’amicizia. Si vedeva benissimo che tra di loro vi erano un legame vero, profondo, sincero, una stima autentica e una condivisione dell’obiettivo, quindi della fatica e della gioia. Nessuno di loro primeggiava, mentre il giocatore migliore del torneo faceva festa con i compagni lontano da ogni smania di protagonismo..anzi..Grazie alla televisione spagnola, abbiamo potuto ammirare quindi non tanto dei grandi campioni ma degli amici che non avevano paura di manifestare i loro sentimenti, la loro gratitudine reciproca con slanci di affetto  tipici del temperamento iberico. Del resto, secondo gli stessi esperti, proprio l’unità è il segreto di questa squadra in cui ogni giocatore si mette completamente al servizio del gruppo.

Ecco quello che rimarrà del Campionato Europeo: lo sguardo sereno, gioioso, felici di chi sa bene che, in fondo, si è trattato solo di una partita, di un gioco, nulla di più.  Uno di loro,  pochi giorni prima della fase finale, aveva dichiarato “ Una perdita non è mai un fallimento. Non mi importa di perdere, sono preoccupato di lasciare la partita con la sensazione di non aver provato e ciò, in questa squadra, so che non accadrà….Anche nella sconfitta può esserci fierezza”. E questo vale per tutto e per tutti.
Forse, non è un caso che uno dei Campionati europei più intensi per emozioni e per spirito sportiva si sia svolto in Polonia e in Ucraina!!










domenica 1 luglio 2012


Un Paese, un pallone, un Papa Beato

Stasera, come molti sanno, si gioca la partita finale del Campionato Europeo. E’ vero, l’incontro si svolgerà a Kiev, ma è altrettanto vero che il “ quartiere generale” della squadra italiana è stata la città di Cracovia. Ovviamente non vi è alcun rapporto di causalità tra le vittorie conseguite dai nostri atleti (soprattutto contro la Germania!!) e la città polacca  è chiaro; tuttavia non possiamo non riflettere su alcuni aspetti importanti.
Cracovia

Cracovia, si sa, è in qualche modo “ antonomasia” di Giovanni Paolo II, così come un po’ tutta la Polonia e, come tutto il Paese, vive di una intensa storia religiosa, testimoniata dalle numerose Chiese, dai Santuari, dalle stesse vie.
Tra la città sulle rive della Vistola e il “suo” Vescovo vi è sempre stato un legame “ simbiotico” fondato proprio su quello spirito profondamente religioso che ha plasmato l’identità polacca,anche in termini di appartenenza alla Patria. A tal riguardo, sarebbe utile rileggere parte dell’Omelia pronunciata da Mons. Wojtyla al momento del suo ingresso  nella Cattedrale del Wawel come Arcivescovo Metropolita. In tale circostanza, il futuro Papa con tutto il suo ardore confidò di essere “ stato generato dalla Madre Santa Chiesa di Cracovia”; per tutta la sua vita, anche una volta eletto Papa, mai scinderà i legami con la città polacca, non cesserà mai di essere “ cracoviense”!!
A Varsavia sono state disputate invece importanti partite di qualificazione. La capitale polacca, ricca di storia, spesso tragica e drammatica, è diventata il simbolo di un nuovo inizio, quello che avrebbe aperto la strada alla Caduta dei regimi dittatoriale dell’Est. Le parole risuonate nella Piazza della Vittoria, alte e solenni nella loro forza profetica, non solo fecero tremare i leader politici polacchi e sovietici, ma ispirarono e incoraggiarono un intero popolo che continuò la sua lotta con ancor maggior vigore e convinzione.
Danzica, altra città sede del Campionato Europeo, sarebbe poi stata protagonista delle manifestazioni pacifiche di uomini e donne che lottavano anche, e soprattutto, con l’arma potente della preghiera. Sui cancelli delle fabbriche non vi erano vessilli ideologici, ma il ritratto della Madonna e del loro “ grande padre e amico” Giovanni Paolo II. Allora, chi avrebbe mai potuto immaginare che in queste città si sarebbero svolti i campionati Europei? Evidentemente i piani di Dio sovrastano di gran lunga i pur acuti e studiati piani umani.

Se da una parte il legame tra Cracovia e Giovanni Paolo II è evidente, d’altra parte non si può negare che vi sia un nesso tra il Papa beato e il calcio. Come è noto, il Papa, fin da giovane giocava a calcio e, una volta ordinato sacerdote, non ha rinunciato a tirare qualche pallone con i suoi giovani amici o confratelli. Le foto lo dimostrano. E’ anche noto che Karol Wojtyla, durante le partite tra ragazzi, giocasse spesso nella squadra composta dai coetanei ebrei: già allora il futuro Papa viveva ciò che, decenni dopo, avrebbe insegnato al mondo, anche a quello dello sport. In occasione del Giubileo dello sportivo auspicherà infatti uno sport che tuteli i deboli e non escluda nessuno, che liberi i giovani dalle insidie dell'apatia e dell'indifferenza,  e  susciti  in  loro  un  sano  agonismo;  uno sport  che  sia  fattore  di  emancipazione  dei  Paesi  più  poveri ed aiuto a cancellare l'intolleranza e a costruire un mondo più fraterno  e  solidale.
Giovanni Paolo II amava lo sport, anche il calcio, e rispettava gli atleti, che ricambiavano l’affetto e l’amicizia da parte di chi aveva conosciuto “ dal di dentro” l’attività sportiva.  Il papa, del resto, era portatore di una visione integrale dell’uomo chiamato a “realizzare un'armonica e coerente unità di corpo e di anima”.  Lo sport, quindi, può essere letto come “ dono di Dio” in cui l'uomo esercita il corpo, l'intelligenza, la volontà, riconoscendo in queste sue capacità altrettanti doni del suo Creatore [Giubileo dello Sportivo, 2000].
Vivere la finale di un Campionato Europeo con questo spirito, significa avere la consapevolezza che anche una partita di calcio, un successo, una coppa alzata sono nulla, valgono nulla se non si riconosce la che  è Cristo il vero atleta di Dio cfr. Ibidem]
Facciamo nostre le invocazioni di   una  bellissima preghiera che il papa ha voluto donare agli sportivi nel giorno del loro “ Giubileo”: stasera siano di monito, di conforto, di sostegno, per gli atleti, ma anche per tutti i tifosi


“Anche chi, come l'atleta, è nel pieno delle sue forze, riconosce che senza di Te, o Cristo, è interiormente come cieco, incapace cioè di conoscere la piena verità, di comprendere il senso profondo della vita, specialmente di fronte alle tenebre del male e della morte. Anche il più grande campione, davanti alle domande fondamentali dell'esistenza, si scopre indifeso ed ha bisogno della tua luce per vincere le sfide impegnative che un essere umano è chiamato ad affrontare.
Signore Gesù Cristo, aiuta questi atleti ad essere tuoi amici e testimoni del tuo amore. Aiutali a porre nell'ascesi personale lo stesso impegno che mettono nello sport; aiutali a realizzare un'armonica e coerente unità di corpo e di anima.
Possano essere, per quanti li ammirano, validi modelli da imitare. Aiutali ad essere sempre atleti dello spirito, per ottenere il tuo inestimabile premio: una corona che non appassisce e che dura in eterno. Amen!”