domenica 29 aprile 2012


“ Dare la vita per le pecore” - 1

Dopo aver ascoltato la stupenda pagina del Vangelo, la mente è ritornata ad un libro scritto dal beato Giovanni Paolo II, “ Alzatevi, Andiamo” .
Vescovado di Cracovia, viaggio amicibresciani GPII
 “ Capita a volte di sentire qualcuno che difende il potere episcopale inteso come precedenza: sono le pecore, afferma, che devono andare dietro al pastore, e non il pastore dietro alle pecore. Si può essere d’accordo con lui, ma nel senso che il pastore deve andare avanti nel dare la vita per le sue pecore; è lui a dover essere il primo nel sacrificio e nella dedizione”.
Nel Pastore qui descritto possiamo riconoscere il Vescovo Karol Wojtyla che, divenuto Papa, ha testimoniato fino a che punto possa giungere la missione di un pastore disposto a spendersi fini all’ultimo per i fedeli, e non solo, a lui affidati.
Chè tutto questo fosse connaturato alla vocazione di Giovanni Paolo II è documentato da altri due testimonianza. Wanda Poltawska, come scrive nel suo “ Diario di un amicizia” ricorda che quando lei stessa chiese al suo amico e Vescovo di Cracovia, di proteggersi, lui rispose “ Non c’è la protezione, c’è l’olocausto”. E in una poesia dedicata a S. Stanislao, l’ultima prima di essere eletto Papa, così scriveva Karol Wojtyla:  "Se la parola non ha convertito, sarà il sangue a convertire"……E il sangue, di li a poco, macchierà una veste bianca!!
 Sia da semplice sacerdote, sia da Vescovo sia da Papa ,Giovanni Paolo II ha vissuto il suo ministero come totale atto di donazione a Dio e agli uomini,  a partire dai piccoli gesti fino al quello che non è esagerato definire “ martirio”. Ha sfidato il potere per difendere la sua gente quando, a Natale, celebrava la Messa di  Mezzanotte non nel tepore rassicurante di una solenne Cattedrale, ma all’aperto, tra un popolo a cui il regime negava la costruzione di un piccola Chiesa. Non aveva paura di affrontare il regime: memorabili le sue omelie, ma anche le sue azioni
·         Lottò per ottenere la processione del Corpus Domini e l’abolizione delle successive restrizioni imposte dal regime
·         Lottò contro la chiusura della facoltà di teologia presso l’Università di Cracovia.
·         Diede protezione e sostegno ai movimenti, clandestini, che sorgevano per “salvare la gioventù polacca”: partecipava agli incontri, anche estivi proprio per dimostrare alle autorità da che “parte egli stesse”. “
·         Proteggeva i dissidenti del KOR, Comitato di difesa degli operai
·         Istituì all’interno della Curia un “ ministero pastorale della carità” il cui compito era il coordinamento delle varie attività, l’organizzazioni di ritiri spirituali per malati e handicappati. In questo modo l’Arcivescovo proteggeva ogni iniziativa  pastorale che, altrove, non avrebbe avuto alcuna possibilità di realizzarsi.
·         Ordinavano clandestinamente sacerdoti cecoslovacchi, nonostante il divieto da parte della Santa Sede che aveva proibito ai Vescovi clandestini di procedere a simili ordinazioni
Inoltre il Palazzo Vescovile non era la sede confortevole il cui accesso fosse riservato a pochi e selezionati eletti, per lo più sacerdoti. Era, invece, il “ rifugio” per le attività dei laici in un tempo in cui “ ogni assembramento veniva considerato dalle autorità un’attività contro lo Stato”: un esempio è costituito dal Consultorio Familiare, dallo “ Studium per la Famiglia” , iniziative allora veramente rivoluzionarie anche per la Chiesa in Occidente.
Il Palazzo Vescovile,  era soprattutto la casa a cui “ tutti avevano accesso diretto” e il cui “ingresso era consentito a tutti”  .
In un contesto in cui ai sacerdoti e ai catechisti era impedito di annunciare Cristo  al di fuori dei luoghi di culto, non il Vescovo non si “ rinchiudeva” nel Palazzo Vescovile, ma percorreva Km per incontrare donne e uomini, bambini ed anziani nei più sperduti villaggi della Diocesi. Le sue Visite Pastorali non erano assolutamente formali né limitate nel tempo o circoscritta a pochi gesti simbolici. Duravano a lungo e, nel corso di tali visite, non solo celebrava la S. Messa, ma confessava, visitava le case, soprattutto quelle in cui vi erano persone malate;  incontrava i sacerdoti,  gli insegnanti, i giovani.
Suscita stupore leggere quanto Giovanni Paolo II ha confidato ricordando il suo Ministero a Cracovia: “ Per quanto mi riguarda, è significativo che non abbia mai avuto l’impressione che il numero degli incontri fosse eccessivo” Per Mons. Wojtyla l’interesse per l’altro aveva inizio dalla preghiera, “ dal colloquio con Cristo che gli affidava i “ suoi”. E così confidava:  “ Io semplicemente prego per tutti ogni giorno. Appena incontro una persona, prego per lei, e ciò facilita sempre i contatti”.  Forse in questo consisteva il vero segreto dell’Arcivescovo di Cracovia: vivere di pregare, rinnovare il suo  fiat a Dio e, in questo modo, donarsi ad ogni uomo che il Signore gli affidava, sempre e comunque.

segue


sabato 28 aprile 2012


Il Papa del “ Nuovo Umanesimo Cristiano”

Nel 1983 Andrè Frossard, autorevole filosofo convertitosi al cattolicesimo, pubblica un libro che raccoglie i contenuti di un dialogo che ebbe con il Papa Giovanni Paolo II. Per l’ampiezza e la profondità degli argomenti trattati, possiamo affermare che si tratta di un’opera di sorprendente attualità, oltre che profetica.
Viaggio amicibrescianiGPII
Non è un caso che il secondo capitolo sia interamente dedicato alla fede; per Giovanni Paolo II, infatti, la sfida primaria e prioritaria, fin dai primi anni del suo pontificato, era ricondurre gli uomini a Dio. Di questo si era reso conto subito un filosofo che, solo dopo un lungo cammino, aveva abbandonato la strada dell’ateismo per convertirsi al cattolicesimo. Per inciso: è paradossale che, ad accorgersi dell’acume dottrinale e spirituale sia stato un francese educato alla scuola di Voltaire e dei Lumi. D’altra parte, perché meravigliarsi? Non è stato forse un vaticanista dubbioso e “ polemico”colui che , più e meglio di altri, ha colto l’essenza di un pontificato tutto teso a rendere ragione della fede, della speranza e della carità?
Ritorniamo al libro di Frossard.
Innanzitutto dobbiamo ricordare che Giovanni Paolo II, quando parlava della fede, ricorreva a “ parole pregate”, nel senso che per lui valeva l’antico principio secondo il quale “bisogna trasmettere agli altri i frutti dell’orazione” ( Contemplata aliis tradere), cioè “ prima di essere pronunciate, le parole devono essere pregate”. E proprio da questo atteggiamento scaturisce la saggezza di un Papa che parla dell’esistenza di Dio, del peccato, della morte, del Giudizio con la semplicità propria del testimone  e e con la sapienza del confessore della fede.
Un secondo aspetto particolarmente significativo è legato ad un episodio poco conosciuto. Il 1 Giugno 1980 Giovanni Paolo II ,al Parco dei Principi a Parigi, incontrò centinaia di  migliaia di giovani francesi tra l’incredulità di molti osservatori increduli di fronte a ciò che stava accadendo sotto i loro occhi: la Parigi illuminista e razionalista si fermava davanti al Papa che, inaspettatamente, veniva accolto con enorme entusiasmo dalla gioventù parigina. Altrettanto impressionante si rivelò la modalità dell’incontro: non un monologo, ma un dialogo tra i giovani che rivolgevano domande e un Papa che, a braccio, rispondeva. Si comprese che una nuova “ rivoluzione” stava iniziando, un rivoluzione pacifica che avrebbe sovvertito l’esito delle contestazioni parigini degli anni ’60-’70. Purtroppo, non molti cattolici nostrane se ne accorsero…Ebbene, rispondendo ad Andrè Frossard, Giovanni Paolo II ricorda la domanda rivoltagli da un giovane  francese che si era presentato“ ateo”: “ Santo Padre, in chi credete? Perché credete? Che vale il dono della nostra vita e com’è quel Dio che adorate?” Domande che lasciano senza parole per la loro profondità e acutezza.
il Papa non eluse queste questioni fondamentali, ma, cogliendo un messaggio in un certo senso positivo ( “ il giovane intende affermare che non è credente, più che negare l’esistenza di Dio”), dimostrò come la fede non sia un puro atto sentimentale ed emotivo, bensì coinvolga la ragione, necessita della ragione « perché la fede, appunto, non costringe l’intelligenza, non la assoggetta ad un “sistema di verità confezionate”». In realtà, la fede “è una risposta cosciente e libera e, come tale ,impegna tutt’intera la persona”.  E’ evidente come per Giovanni Paolo II sanare il conflitto tra ragione – fede costituisse la vera sfida per un’umanità minacciata da quelle ideologie e culture che, dichiarando già allora, “ la morte di Dio”, di fatto, come diceva il Papa, aprivano la strada alla “ morte dell’uomo”. Tutta la vita e tutto il pontificato di Karol Wojtyla – Giovanni Paolo II è stata la risposta ad una mentalità tesa ad annullare Dio e, quindi, ad annullare l’uomo; con la sua testimonianza, con la sua sapienza, con la sua vertiginosa spiritualità egli ha veramente ridato all’umanità una speranza nuova e alla storia un “ Nuovo Umanesimo Cristiano”!!!
Preparandoci all’anniversario della beatificazione, non possiamo non tenere conto di questo!!!

sabato 21 aprile 2012


Il  Poeta dell'Amore

A qualcuno potrebbe apparire strano che un sacerdote scriva una poesia il cui tema sia  una delusione d’amore. Eppure non bisogna dimenticare che questo sacerdote frequentava i giovani, con loro andava in vacanza; giovani che a lui confidavano, presumibilmente, i primi innamoramenti e, quindi, le prime delusioni. Era un sacerdote coinvolto con la vita, non ad essa superiore ed estraneo. Si deve aggiungere che, da giovane studente, aveva interpretato il ruolo dell’innamorato in drammi che raccontavano amori spesso tormentati. Di conseguenza anche il contenuto di questa poesia non è esito di osservazioni esterne o di riflessioni teoriche.
Nel componimento poetico che, per ragioni copyright,non possiamo pubblicare, viene ipotizzata la possibilità di un malessere legato all’amore, un malessere che si presenta secondo diversi livelli, da qui il paragone con la “ colonna di mercurio” . Bisogna notare come, fin dall’inizio, il poeta non escluda affatto che si possa stare male per amore, dimostrando così umanità, delicatezza, comprensione per l’animo umano. Non vi è, in sostanza, quell’atteggiamento tutto clericale che tende a guardare con sufficienza l’esperienza amorosa quando non è oggetto di disquisizioni filosofiche e teologiche, spesso non interessate alla semplice fase di un innamoramento adolescenziale. La vera  saggezza, quella dei santi,  impone però uno sguardo più “ grande”. Tutto ha un senso, tutto ha una sua “ grandezza”. Noi solitamente cerchiamo di minimizzare, o, peggio, di annoverare come dimensione  “ infantile”, insignificante, se non immatura  tutto ciò che provoca tristezza e amarezza nell’animo di una giovane donna innamorata.  Qui, lungi dal sottovalutare i sentimenti umani, viene aperta una diversa prospettiva: “ eppure bisogna in altro modo scoprirne la grandezza”. Che cosa impedisce la scoperta della “ grandezza”? E alla “ grandezza” di che cosa viene fatto riferimento? Lo stesso poeta sembra indicare la risposta. Vi è una grandezza anche nel dolore, nel sentimento deluso, è innegabile, ma la vera grandezza, o con altre parole, il vero senso può rendersi visibile solo in chi non pone se stesso quale fine e centro di tutto,come invece accade per la ragazza qui protagonista a cui il poeta si rivolge in modo diretto: ma tu troppo ti senti il perno su cui ruotano le tue vicende. L’uomo non è oggetto, è un soggetto che vive le proprie vicende, magari anche in modo intenso. Non vengono esclusi sentimenti,negate le possibili delusioni di una giovane innamorata e, neppure, si minimizza la reazione affettiva che può portare l’innamorato a concentrare tutto su di sé. Karol Wojtyla viveva con i giovani ed li conoscenza abbastanza bene per sapere che alcuni atteggiamenti sono propri soprattutto del temperamento giovanile, ma non solo. Non era un teorico o un illuso, era totalmente immerso nella vita concreta..quante volte il “ suoi giovani” si saranno confidati con lui? Quante volte avranno raccontato le loro “ vicende personali”, anche amorose, perché no?  Il punto è un altro. Non “ sentirsi troppo”, cioè dimenticare che un “ Altro” è il Centro, il Perno e, proprio grazie a questo “ Centro”, l’uomo può ritrovare senso e centralità nelle proprie vicende, anche quelle amorose.   La delusione d’amore della donna può trovare quindi “ consolazione” in Colui che “ neppure trova amore”, pur essendo Lui stesso AMORE. Non si guarda alla tristezza della giovane con disprezzo e severità, ma con l’amore di un padre che insegna a dare un senso a tutto, anche alla delusione amorosa. Non è poco!!
A che serve il cuore umano?  Si chiede il Poeta: poche domande sono altrettanto impegnative e decisive.
Il cosmo ha una sua temperatura che viene misurata grazie al termometro, appunto il mercurio a cui si fa riferimento nella poesia,  e così anche il cuore rappresenta in qualche modo “ la temperatura”dell’uomo, il suo stato, la sua “ pulsazione”. L’uomo, si potrebbe dire, è il “ peso specifico” del suo cuore, riprendendo un’altra espressione usata dal poeta in un suo dramma sull’amore umano. Quindi, ecco ancora il “ mercurio”, il “ termometro” che “ misura” l’” io”, la sua essenza, la sua consistenza, il suo cuore,la sua pienezza d’amore, “determinata  dalla Grazia”, cioè dalla partecipazione alla vita interiore di Dio stesso, alla sua santità” ( da: “ Catechesi sulla Teologia del corpo 1979 – 1984).

domenica 15 aprile 2012


Piccolo P.S 

Stamattina abbiamo lasciato due santini del beato Giovanni Paolo II su un piccolo tavolinetto, per altro non particolarmente visibile. Appena terminata la S. Messa, una giovane madre, immediatamente ne ha preso uno e lo ha conservato in una tasca ( oggi pioveva). Ha impressionato la determinazione del gesto, privo di incertezza o esitazione. Sembrava quasi che in lei ci fosse un desiderio profondo di avere tra le mani quella banalissima  e semplicissima immaginetta: forse questa è l’ennesima prova di un legame che il tempo non sembra scalfire.  E’ inutile dire che anche la seconda immaginetta è sparita nell’arco di pochissimo tempo, come già era accaduto il 2 Aprile.

Un secondo episodio riguarda un uomo politico, per altro spesso ostile nei confronti del Papa Beato. Parlo di Marco Pannella che, nel giorno di Pasqua, ha avuto parole di grandissimo rispetto nei confronti di Giovanni Paolo II; addirittura ha affermato che la marcia organizzata dal suo movimento  era i  “un omaggio che i Radicali volevano rendere alla memoria del Grande Papa Giovanni Paolo II, che nella Pasqua del 1979 accolse con parole forti d'amore i marciatori contro lo sterminio per fame nel mondo”
Al di là del merito e delle evidenti contraddizioni insite nelle scelte dei Radicali, questo episodio dovrebbe far riflettere: quanti cattolici,oggi, marcerebbero in Piazza S. Pietro, magari in occasione di un anniversario, per rendere omaggio al Papa che tanto si è speso per loro? Pochi, pochissimi…La ragione di Stato ha, purtroppo la meglio anche in simile circostanze!!Peccato, ci facciamo superare da non credenti e pubblicani quanto a sentimenti di gratitudine!!!

“ Gesù confido in Te”

Desidero che questa immagine  venga esposta al pubblico la prima domenica dopo Pasqua. Tale Domenica è la festa della Divina Misericordia...quelli che proclameranno la Mia grande Misericordia, Io stesso li difenderò nell’ora della morte, come Mia gloria..Con le anime che ricorreranno alla mia Misericordia e con le anime che esalteranno e faranno conoscere ad altre la Mia grande Misericordia nell’ora della loro morte, mi comporterò secondo la Mia Misericordia Infinita”[S. Faustina Kowalska Diario]

E’ risaputo che il beato Giovanni Paolo II ha abbracciato il Padre già nel tempo in cui la Chiesa celebrava la Divina Misericordia. E, proprio nella Domenica della Divina Misericordia, il Grande Papa è stato beatificato. Non si tratta, ovviamente, di una coincidenza casuale. Tutta la vita di Giovanni Paolo II è stata segnata dall’Amore di Dio misericordioso, a partire da quella quotidiana preghiera che egli, giovane operai, rivolgeva a Dio prima di recarsi al lavoro, quando si fermava presso la tomba di S. Faustina, che lui stesso ha voluto, con audace tenacia, canonizzare, dopo che, per molti anni, lo stesso Vaticano aveva ostacolato la diffusione del suo Diario.
Giovanni Paolo II, non dimentichiamo, affidò alla Divina Misericordia il mondo intero, in occasione della Consacrazione del Santuario alla eretto a Cracovia: nel corso del suo ultimi viaggio, nel 2002, ricurvo, stanco, con fatica immane volle compiere il gesto per rendere testimonianza, davanti ad un mondo smarrito, secolarizzato, distratto e ostile a Dio, dell’unica verità capace di salvare l’uomo.
La Misericordia di Dio è il più grande attributo di Dio. Tutte le opere delle mie mani sono coronate dalla Misericordia”, così rivelò Gesù a Santa Faustina che non cessava mai di ripetere il suo totale affidamento: “Confido contro ogni speranza nell’oceano della Tua Misericordia”.
Il Papa, come  scriveva nel documento “ Dives in Misericordia”,la prima vera enciclica sulla Carità, era consapevole che “ l’uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno della misericordia, e ne hanno bisogno, anche se sovente non lo sanno”; nella parte finale, conscio della perplessità di qualcuno, forse anche a lui vicino, dichiara “ Se qualche contemporaneo non condivide la fede e la speranza che mi inducono a implorare in questa ora della storia la misericordia di Dio per l’umanità, cerchi almeno di comprendere il motivo di questa premura: l’amore verso l’uomo, verso tutto ciò che è umano e che è minacciato da un pericolo immane” (1980!!).  

Che cosa significa credere nella Misericordia?  Ce lo ricorda sempre il Papa nell’Enciclica citata: significa affidarsi ad un Amore che supera i nostri limiti, il nostro peccato, il male che, in tutte le epoche, sembra dominare e annichilire l’umanità; significa anche credere in Colui che “sta alla porta e bussa al cuore di ogni uomo, senza coartarne la libertà, ma cercando di trarre da questa libertà, l’amore”, un amore che ci apre agli altri e che si manifesta come la “ fonte più profonda della giustizia”. Allora, ecco che il mondo può diventare più umano, laddove i rapporti non siano più fondati sull’egoismo e sulla sopraffazione,ma sulla  riconciliazione e sul perdono, l’amore reso perfetto.  Di fronte al male e alla sofferenza, non più domina la paura, il rancore, la disperazione, ma la fiducia e la speranza di chi sa che c’è un Dio che non lo abbandonerà mai. Santa Faustina si chiedeva “ come si possa non aver fiducia in Colui che può tutto” e così si esprimeva, lei donna non  certo dotta teologa: “ Con Lui tutto, senza di Lui nulla

In fondo, come Giovanni Paolo II disse un giorno, la semplice frase “ Gesù confido in Te”, racchiude l’essenza della nostra fede, della nostra gioia, della nostra carità ed esprime la più ragionevole e liberante verità sull’uomo e per l’uomo!!!

L’amore non si lascia incatenare, è libero come una regina; l’amore giunge fino a Dio
( Diario di S. Faustina)

venerdì 13 aprile 2012


Il buio e la Bellezza

“Bisogna rilevare quel torrente che trascina la nostra gioventù, ma che non si è potuta manifestare fino ad ora. Quel torrente ha una fonte comune, sta in noi: l’Amore profondo, la Libertà slava e non il desiderio ma la brama della Bellezza. L’arte non sia soltanto verità realistica, o solo gioco ma sia soprattutto un’elevazione architettonica, sia uno sguardo in avanti e in alto, sia la guida verso Dio, abbia la dimensione dell’arcobaleno romantico: dalla terra e dal cuore umano fino all’Infinito…Io non sono il cavaliere della spada, ma come artista vorrei costruire il Suo (della Patria) teatro e la poesia, anche semipagato, con l’entusiasmo e l’estasi, con tutta la mia anima slava, con tutto il mio zelo e l’amore, con le maniche rimboccate..Che ci sia entusiasmo, che ci siano i giovani e i santi, di Cristo e di Francesco”
Queste parole  sono state scritte da Karol Wojtyla due mesi dopo l’invasione della Polonia da parte dei Tedeschi. E’ sorprendente constatare come un giovane diciannovenne, pur in un contesto tragico, avesse già chiaro il profondo legame Arte – Patria – Dio. Come era possibile che si parlasse di Bellezza, di Infinito, di Bellezza, di Amore, mentre fuori i soldati occupavano le strade, entravano nelle case, chiudevano scuole, Università e seminari e, nella loro spietata sete di sangue e di morte, imprigionavano torturavano e uccidevano innocenti? Come era possibile, mentre i sogni di molti ragazzi e giovani come Karol Wojtyla, venivano frustrati e d annientati, sostituiti dalla dura lotta per la sopravvivenza?  Se poi leggiamo un altro passo, tratto sempre da una lettera inviata ad un amico, la domanda si fa ancora più cogente: “ Tutto è azione della Grazia, tutto può essere azione della Grazia, bisogna soltanto sapere e soprattutto volere collaborare con essa, come ci insegna la parabola dei talenti. Allora penso che alla Grazia bisogna sapere rispondere con l’Umiltà…”( Cracovia, 1940).
Non siamo certo in grado di rispondere alla domanda, troppo vertiginoso è l’abisso spirituale del giovane Wojtyla, noi possiamo solo registrare i fatti. Dopo il 1 Settembre 1939,a Cracovia, ma non solo, la vita è improvvisamente cambiata, in particolare per gli Ebrei, ma anche per le donne e gli uomini polacchi. Karol Wojtyla, come molti altri giovani, costretto ad abbandonare gli studi, si guadagna, in un cava di marmo ,i pochi soldi necessari per assicurare a suo padre anziano e a se stesso l’essenziale per vivere; lui stesso informa gli amici, rassicurandoli e raccontando la vita fatta anche di “ file per il pane, delle rare spedizioni per lo zucchero e della nera nostalgia per il carbone". E, sempre ai suoi amici, confida le sue incertezze, le sue angosce, i suoi turbamenti.
 Eppure, questo giovane, che nel 1941 rimarrà solo, proprio confrontandosi con la realtà più cruda,scopre, non senza fatica e travaglio, quanto sia ancora più importante tener viva la luce della Speranza proprio  mentre tutto sembra volgere verso un baratro infinito. Non dobbiamo dimenticare che questo stesso giovane, ogni mattina, pregava presso la tomba di S. Faustina, sublime Apostola della Divina Misericordia, “ nutrendosi” non tanto di summae teologiche, quanto della fonte inesauribile della Grazia.
Forse noi non riusciamo a comprendere, ma quello che possiamo giudicare un“ mieloso sentimentalismo”, è in realtà l’essenza stessa del senso dell’uomo e della storia.
La Patria forgia e realizza l’identità della persona e, per Karol Wojtyla, questa identità coincide totalmente con la presenza dell’Amore di Dio (la Grazia) che abbraccia tutta l’esistenza della Nazione. E l’arte ( Bellezza), così, diventa non solo l’espressione capace di incarnare i valori profondi di questa Nazione, ma anche la via attraverso la quale l’uomo può tendere verso l’Infinito. Allora ha senso diventare “ cavaliere” per difendere  la Patria ferita, la libertà vilipesa e osteggiata.  Allora ha senso affermare che “ La libertà, la paghi con tutto te stesso – perciò chiamerai libertà quella che, mentre la paghi, ti aiuta a possedere te stesso sempre di nuovo ( da “ Pensando Patria 1974), ha senso perchè, sempre come scriveva Karol Wojtyla nell'Ottobre '39, " la nostra liberazione dovrebbe essere la porta di Cristo"

sabato 7 aprile 2012


Santa Pasqua

Santuario S. Alberto [ Viaggio in Polonia, amicibresciani GPII
Per rivolgere gli auguri di Buona Pasqua ai nostri “due” lettori, desideriamo condividere alcuni  versi tratti da “ Fratello del Nostro Dio”, dramma scritto da Karol Wojtyla tra il 1945 e il 1950. Protagonista dell’opera teatrale è Adam Chmielowski, Frate Alberto,  canonizzato da Giovanni Paolo II.
Adam Chmielowski era un affermato pittore, stimato anche oltre i confini polacchi. Ma l’arte, ad un certo punto, gli apparve in tutta la sua inadeguatezza; egli cercava qualcosa di più vero ed autentico, cercava quella bellezza che l’arte stessa, per quanto eccelsa, non poteva realizzare se non con tinte molto sfumate. Da qui la decisione di spogliarsi di se stesso, dei suoi abiti signorili, del suo talento di artista per vestire invece il saio e condividere, in tutto, il destino dei poveri nei quali scorgeva il Volto di Dio.
In un passo del Dramma, troviamo Adam che alza lo sguardo fermandolo su un dipinto che non era mai riuscito a terminare: l’inquietudine, così profonda e dilaniante,aveva sempre provocato in lui reazioni distruttive nei confronti della sua stessa opera d’arte, a cui, per altro, tanto teneva. Nel passo in questione, invece, il protagonista, contempla il dipinto,  così si esprime:

Sei tuttavia terribilmente diverso da Colui che sei
Ti sei affaticato molto per ognuno di loro.
Ti sei stancato mortalmente.
Ti hanno distrutto totalmente
Ciò si chiama Carità

Eppure sei rimasto bello.
Il più bello dei figli dell’uomo.
Una bellezza simile non si è mai più ripetuta.
O, come difficile è questa bellezza, come difficile.
Tale bellezza si chiama Carità [ Opera omnia, Bompiani,pag.689]

E Adam, divenuto Alberto,dirà: “ Io parlo della Croce, della nostra comune croce che trasforma la caduta dell’uomo in bene e la schiavitù in libertà” .
La Redenzione, come ricordava spesso Giovanni Paolo II, fa’ sì che l’uomo sia “ in qualche modo nuovamente creato” e che Cristo si unisca con ognuno di noi, per sempre.  ( Redemptor hominis). L’uomo che accetta l’Amore resosi carne nel Mistero della Croce e Risurrezione, può dire, insieme a Frate Albero: “ Tuttavia sono certo di aver scelto una libertà più grande
Buona Pasqua



venerdì 6 aprile 2012


Venerdì Santo

In questo Venerdì Santo, è inutile negarlo, la memoria ritorna alle impressionanti e sconvolgenti Viae Crucis del beato Giovanni Paolo II. In questo giorno così importante, desideriamo però affidarci ai versi di Karol Wojtyla che ha dedicato alla figura della Veronica e del Cireneo versi veramente intensi. Non potendo pubblicare interamente i testi, ne offriamo un semplice commento, certo inadeguato ed incompleto. Ne consigliamo comunque la lettura.

Il nome della donna, prima, non esisteva; ci fu un momento preciso in cui questo nacque ed insieme a esso anche lei, la donna che a fatica si apriva un varco. Voleva vedere, spinta chissà da quale impulso, come ci suggerisce il poeta insistendo sui tentativi da lei intrapresi con tanta tenacia:: aprivi un varco…apristi un varco..
Il poeta, come in altri casi, instaura un possibile dialogo di notevole profondità e coinvolgimento, come si evince dalla domanda: o te lo aprivi dall’inizio?, come dire: Veronica cercava un varco, cercava la pienezza, cercava la sua umanità, e questo da sempre. Veronica è l’”uomo” che vive alla ricerca di una risposta definitiva e vera, che spera nella “ smagliatura nella rete” attraverso cui poter sperare che ciò in cui tutto consiste non è il “ male di vivere”, ma un Volto, il Volto che Veronica vuole vedere. La domanda circa il tempo in cui è iniziata la ricerca, rimane irrisolta, ma in realtà l’assenza di una risposta esplicita indica un tempo illimitato, indicibile, indefinibile, misterioso, forse per la stessa donna. Oppure indica un “ da sempre”, da quando l’uomo si affaccia sulla terra chiamato alla propria vocazione che coincide con la ricerca del “ varco” da attraversare, Varco che si lascia attraversare.
Ma ecco, la donna ha acquisito il suo nome, nacque il suo nome e rinacque lei stessa proprio  quando il cuore/divenne l’effige: effige di verità, cioè quando il suo cuore ha incontrato il Volto di Cristo, quel Volto che si è fissato definitivamente in lei, quel Volto, unica Verità, centro del “ cosmo e della storia”. Il lenzuolo ha un suo valore solo perché è divenuto anche il Cuore dell’uomo, il Cuore della donna che si è aperta il varco: nacque il tuo nome da ciò che fissavi.
Il poeta “scava” dentro il cuore della Veronica, ponendo l’accento su tre aspetti: la vista, l’udito, la conoscenza, vedere, sentire, sapere. L’ordine sottolinea la dinamica fondamentale dell’incontro, un incontro reale, fisico dove i sensi sono misteriosamente coinvolti. C’è nella protagonista l’ardore di fare esperienza di ciò che è al di là del varco aperto da lei stessa; ma che cosa desidera vedere, sentire? Il “Suo” sguardo, non le “Sue” parole vuole “sentire”, ma il “Suo” sguardo. Non  è sufficiente “ vedere” ; è necessario che quello sguardo si imprima nell’”io” più profondo, è necessario che l’effige sia nel cuore. perché  veramente accada qualcosa di nuovo capace di mutare l’esistenza.
Tutto si chiarisce: la visione di Veronica, come la visione di ogni uomo non può fermarsi ad un piano esteriore; deve investire tutta l’interiorità dell’io, per cui l’animo diventa il luogo in cui il desiderio dell’uomo si incontra con lo sguardo di Dio.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
Continua la rievocazione della Veronica, sempre all’interno di un dialogo che infrange passato e presente. Qui è la donna che parla e “ grida” il suo desiderio di totale unità con Lui. “ Voglio”, una volontà che non ammette repliche! Lei vuole essere vicina e, quasi per accentuare, ripete “ così vicino”. Dove c’è il vuoto c’è distacco; e il distacco è di fatto assenza. Si comprende quindi ciò a cui aspira la Veronica e, meglio, si comprende la sua posizione interiore: la presenza di Lui avviene nella negazione di me stessa, bisogna fargli spazio, bisogna correre ad aprirsi un varco, ma nel buio della vicinanza, espressione poetica con la quale il Poeta chiarisce che tanto più nell’uomo si realizza l’”oscurità”, tanto più la luce può penetrare, tanto più, appunto, il varco si apre. Indubbiamente anche in questa poesia si legge il grande insegnamento mistico di S. Giovanni della Croce vissuto in profondità dallo stesso Poeta.
Veronica è colei che non è stata da nessuno fermata, come ci ricorda il Poeta Karol Wojtyla che la “ vede vicina alla meta: Sei vicina. Lei ha visto ed ha impresso sul suo panno il Volto, quel Volto che abbraccia, assimila, caricandola su di sé, l’intera umanità: grido dei cuori, appunto il grido di un uomo ferito che ora, attraverso la Veronica, ha trovato il senso ultimo, ha trovato l’approdo. Allora Veronica è icona dell’intera umanità perché “ icona di Cristo” in cui l’uomo ritrova se stesso, è icona che cammina parallelamente, quindi insieme, in compagnia di Colui che, con raro vigore realistico, viene definito il Condannato. Allora tutti gli uomini, i “ condannati”, non sono più soli perché camminano con il Condannato, Colui che ha accettato di essere negletto, respinto, dilaniato per amore dell’umanità che, pure, lo ha negletto, respinto e dilaniato….Ora sembra dominare la solitudine: Lui è morto, ma è rimasto il segno del contatto; lei ora si sente protetta, ha trovato un rifugio, un luogo capace di difenderla da se stessa, da una forma di vita che non le appartiene più. La donna trova un riparo da una frattura che si è creata in lei e che ha inghiottito ciò che prima la definiva. Veronica appare allora completamente “ nuda” a se stessa nel deserto della sua anima, ma trova un luogo che la ripari e questo luogo è quel panno, ovvero quel Volto.
Quando si è vicini a qualcuno che ha plasmato la nostra vita, la nostra esistenza, tutto sembra possibile, tutto sembra più facile. Ciò che siamo è determinato da colui che è accanto a noi; quando quella persona, così importante per la nostra vita, “parte”, ecco la nostalgia che il Poeta, con estrema e lucida sintesi, definisce fame di vicinanza. E’ necessaria una nuova “vicinanza”, non basta più neppur il panno, forse. Ecco, Lui  Risorto, ha compiuto ciò che appare folle alla mente umana, ma Lui continua a farsi vicino all’Umanità Redenta, LUI E’ PRESENTE. Non è fisicamente tra noi, non è tra noi secondo i criteri puramente umani, ma viviamo della sua continua vicinanza. La Redenzione è quindi il trionfo della Vita che vince la morte, è la ricomposizione di una “ vicinanza” tra Dio e l’uomo, ma ora riscattata e resa libera, proiettata verso la vera e finale speranza. L’uomo, per essere redento, ha avuto bisogno di un Altro, della vicinanza di un Altro che gli rivelasse il suo destino, la sua consistenza per cui un Dio muore e, pure morendo, gli rimane accanto.
Karol Wojtyla vuole però anche soffermarsi sul momento del distacco vissuto dalla Veronica: Lui non c’è più, il suo sguardo impresso sul Volto non può raggiungere  l’umano di lei, l’umano di ogni esistenza. Eppure l’uomo, come Veronica, ha bisogno di incrociare il suo Volto per non sperimentare quella che viene definita l’inquietudine della forma, assenza appunto di ciò a cui si anela guadare. Si potrebbe pensare ad un certo smarrimento, alla disgregazione che si verifica nell’”io” quando viene a mancare il volto di chi abbiamo amato. Come è accaduto il 2 Aprile 2005: abbiamo cercato il suo volto nelle mille immagini riprodotte, nelle mille fotografie diffuse!
Ma il distacco diventa Vicinanza, ci suggerisce il poeta: Lei, come ogni uomo, consapevole della propria incompletezza (forma inquieta),  cerca sempre la pace. Con chiarezza sa che il distacco non è sinonimo di abbandono, di un passato che non ritorna, archiviato per sempre. La donna si sente ancora attraversata, eppure mi attraversi; Dio penetra in lei, entra a far parte di lei, pur lontano in una dimensione che non ha paragoni con l’esperienza umana. Certo, il panno permette questo “ attraversamento”, questo “ raggiungimento”, ma un panno sul quale è stato impresso non un volto come tanti, ma il Volto di Colui che salva l’uomo amandolo. Dio, fattosi uomo, incontra l’uomo al punto da lasciare di sé un segno, un segno visibile, toccabile. L’ultima parola è appunto pace che coincide con l’ Unità dell’esistenza. Privata del Volto, la forma dell’uomo è, appunto, informe, mentre, nell’incontro con Lui, tutto si ricompone, il “tu” acquista una sua armonia, l’uomo non è più un ‘”io” frantumato e solo. La pace, quindi, come ha spesso detto e gridato Giovanni Paolo, ha un nome: Gesù Cristo.

giovedì 5 aprile 2012


Viaggio in Polonia, amicibrescianiGPII

Giovedì Santo

Forse non tuti ricorderanno, ma il beato Giovanni Paolo II, nel corso del suo Pellegrinaggio Giubilare in Terra Santa, celebrò una S. Messa nella Cappella del Cenacolo, luogo in cui, secondo la tradizione, Gesù istituì l’Eucaristia. Si trattò di un evento storico, se non epocale: a nessun Papa, prima e dopo di lui, è stata concessa una tale Grazia. Non dobbiamo meravigliarci: Giovanni Paolo II ha sempre vissuto la fede non solo come un’esperienza intelletuale e spirituale, ma come un’ urgenza interiore che lo portava a vivere realmente gli Eventi della vita del Cristio, in modo particolare i Misteri legati alla Passione, Morte e Risurrezione.  In quella straordinaria occasione, è stata scattata una foto molto significativa che, per ragioni di copyright,non possiamo pubblicare. In questa foto, scattata al termine della Celebrazione, si vede il Papa, già malato e debole, in ginocchio sul nudo pavimento con la fronte appoggiata allo spigolo dell’altare: è stupefacente l’intensità della sua preghiera. Anche da una povera fotografia è possibile infatti comprendere che, in quell’istante, il Papa stava “ vivendo” l’Evento, si stava immedesimando completamente con la pagina del Vangelo divenuta così Viva Memoria. 
Per Giovanni Paolo II l’Eucaristia ha sempre rappresentato il centro della sua esistenza e del suo essere sacerdote.  Del resto nell’ Enciclica “ Ecclesia de Eucharestia ( Giovedì Santo 2003), così confidava: Da oltre mezzo secolo, ogni giorno, da quel 2 novembre 1946 in cui celebrai la mia prima Messa nella cripta di San Leonardo nella cattedrale del Wawel a Cracovia, i miei occhi si sono raccolti sull'ostia e sul calice in cui il tempo e lo spazio si sono in qualche modo « contratti » e il dramma del Golgota si è ripresentato al vivo, svelando la sua misteriosa « contemporaneità ». Ogni giorno la mia fede ha potuto riconoscere nel pane e nel vino consacrati il divino Viandante che un giorno si mise a fianco dei due discepoli di Emmaus per aprire loro gli occhi alla luce e il cuore alla speranza (cfr Lc 24,13-35). 
E il peggioramento che lo avrebbe poi portato alla morte si è manifestato proprio un giovedì, mentre pregava davanti al Santissimo!!
Giovane seminarista, in alcune sue poesie esprime tutto il suo amore rivolto a quel Pane di frumento, cantato  nella sua luminosità e nel suo chiarore come presenza viva di Cristo che raggiunge la nostra vita per vie a noi oscure: T’amo pallida luce del pane di frumento/ in cui l’eterno dimora un istante,/ la nostra riva raggiungendo/ per occulti sentieri. In un altro componimento lirico ci ricorda che Dio venne vicino ad ogni uomo per poi “ nascondersi” ,perdurando nell’Eucaristia:  Dio venne fin qui, si fermò a un passo dal nulla,/ ai nostri occhi vicinissimo./ E parve ai cuori aperti, e parve ai cuori semplici,/sparito all’ombra delle spighe . Karol Wojtyla con realismo mistico, nota sia l’atteggiamento dei discepoli sia l’attenzione del Maestro che così esorta i suoi:  Imparate, diletti, vi prego questo mio nascondiglio/ Dove mi sono nascosto, lì perduro. Dio sembra nascosto, eppure l’uomo lo può incontrare; Dio desidera farsi incontrare; questo è possibile nel Sacramento dell’Eucaristia che si rivela in tutta la sua pienezza in semplici spighe a cui il Poeta rivolge l’incalzante domanda: Dite, giovani spighe, non sapete/ dov’Egli si è celato?/ dove cercarlo – noi ditelo, spighe/ dove cercarLo, nella vostra abbondanza?

Alla luce di tutto questo, perché stupirci se proprio il Beato Giovanni Paolo II ha potuto camminare e celebrare l’Eucaristia laddove Cristo ha voluto rendersi Presente con il suo Amore, non lasciando soli noi poveri e smarriti uomini?

domenica 1 aprile 2012


Noi non dimentichiamo!!! E’ stato, è e sarà il “ nostro” Papa....per sempre!!!!

Oggi 2 Aprile il nostro pensiero è rivolto, con ancor maggior convinzione, a colui che è il nostro “faro”, la nostra “guida”, il nostro sicuro e potente intercessore in cielo.
La tomba, come ogni anno, è meta di pellegrini che depongono bigliettini e mazzi di fiori, segno di un legame che niente e nessuno sembra in grado di indebolire.
Il doloro di quei giorni di inizio Aprile è ancora impresso nella memoria.  Non è irrispettoso confessare ed ammettere che manca il suo sguardo, manca il suo sorriso, manca persino la rigidità del suo volto; ma la tristezza e la nostalgia hanno ora lasciato il posto alla gioia e, se è consentito, a quella fierezza di cui parlò una volta il Cardinale martire vitnamita Nguyen Van Thuan, parlando del Papa. Ora lo sappiamo con assoluta certezza: in quella sera buia di Primavera abbiamo accompagnato non solo un un Papa o un padre, ma un padre Beato!!! Il solo pensarci dà i brividi, tanto grande è la responsabilità a cui noi siamo stati, e siamo, chiamati!!
La nostra  inadeguatezza dinanzi ad una simile Grazia è enorme: non rimane che la preghiera silenziosa e grata a Dio per aver scelto la nostra generazione come testimone di quanto lo Spirito Santo possa operare nella vita di un uomo che, con il suo “ fiat”, ha “spiegato” in modo sublime il senso più profondo della Passione, Morte e Rissurezione di Gesù Cristo.

La nostra responsabilità, rispetto alle nuove  generazioni, è immensa; abbiamo ricevuto un dono inatteso e immeritato; ora tocca a noi perseverarne la memoria perchè altri, attraverso la santità del “ nostro” Papa, possano riscoprire l’autentica Bellezza di essere cristiani, guardando alla vita di un Beato che, fino all’ultimo, si è dato “ tutto a tutti”.Gli stessi sacerdoti ne trarrebbo grande beneficio!!

E’ bello pensare che la Settimana Santa si apra con il ricordo dell’anniversario della morte del Beato Giovanni Paolo II che ha vissuto nella sua carne i giorni che precedono la S. Pasqua e che, per questo, è divenuto maestro e pastore credibile. In questi giorni sarà impossibile non ritornare con la mente e con il cuore a tutte le Viae Crucis da lui guidate, alla sua personale e lunga Via Crucis culminata in quella sera del 2 Aprile quando, al momento in cui il suo grande cuore ha cessato di battere, è stato intonato dai “ suoi” il Canto del Te Deum. In quel preciso istante Giovanni Paolo II risplendeva della luce dei beati!!

Sì, siamo orfani della tua paternità, siamo orfani del tuo volto, della tua voce robusta e flebile, siamo orfani dei tuoi silenzi e della tua immobilità...ma siamo anche certi che tu tu sei ancora tra noi  e lo sei in un modo del tutto speciale, proprio come lo può essere solo chi vive tra le Braccia di Dio!!!