venerdì 25 luglio 2014

"Da te ho imparato che l’affidarsi è la misura dell’amore…Ti tengo stretto per la mano attraverso un momento molto difficile"

Il sacerdote ed i laici

Abbiamo voluto rileggere un libro a noi molto caro, “ Diario di un’amicizia” di Wanda Poltawska, per cercare di dare una risposta ad una domanda: come è possibile che una donna di novant’anni continui a lottare per difendere la vita umana in nome di Cristo, dimostrando un vigore straordinario, una tenacia ed una lucidità veramente eccezionali? Certo, si tratta di una donna  dotata di un temperamento fuori dal comune, di una forza temprata dalla vita, in particolare dall’esperienza del lager, in lei è palpabile una fede rocciosa, solida, autentica, profonda. Indubbiamente quanto appena delineato può, in parte, rispondere al nostro quesito iniziale, ma non costituire un esaustiva ragione che,  forse, possiamo tentare di intuire sfogliando le pagine preziose del “diario”.
Riga dopo riga, parola dopo parola,veniamo condotti alla scoperta di un “ mondo” di rapporti a noi sconosciuto e a cui non siamo avvezzi. Proviamo a riflettere. Non è forse vero che, in alcuni casi, il sacerdote con cui collaboriamo non conosce molto di noi, la nostra storia, e non sembra particolarmente interessato a ciò che inquieta il nostro cuore? Non capita talvolta che, di fronte ad un nostro sguardo triste e amareggiato, ci sentiamo rivolgere battute “ frettolose” e raramente la tanto agognata domanda: “come stai? Che cosa ti inquieta? Parliamone…”. Non è forse vero che la comunicazione si limita, per lo più, ad indicazioni e compiti da espletare, senza che sia concesso di instaurare un pur minimo dialogo o esprimere una semplice considerazione, spesso repressa per timore di essere giudicati importuni e tediosi?  Sia chiaro, non a tutti i collaboratori tocca un simile destino. Il rapporto tra sacerdote e laico ( in questo caso collaboratore) è segnato da quello che tecnicamente potremmo definire  un“ approccio selettivo” i cui criteri, però, sfuggono alla nostra comprensione.
Un esempio. Chi scrive per questo blog collabora anche per la redazione del cosiddetto “ Bollettino parrocchiale”. Il parroco, certo, apprezza il contenuto dei suoi articoli che , però, etichetta come “ difficili” in quanto ricchi di riferimenti bibliografici la cui fonte è il Magistero della Chiesa. Ora, personalmente ci saremmo aspettati che, oltre alla valutazione, ovviamente legittima, venisse manifestato un certo interesse per l’origine di alcune citazioni, per altro non così scontate. Invece nulla, come se il vissuto che è  alla radice degli articoli non interessasse nulla: conta solo il prodotto finale, verrebbe da dire. Attenzione: non bisogna far notare tali dettagli,  la risposta che avrete sarà: “un sacerdote ha mille impegni, non ha tempo…”. Ma allora, perché con qualcuno il tempo si trova, mentre con altri no? Qual è il criterio di selezione? La domanda rimarrà senza soluzione. Pazienza, ce ne faremo una ragione!
Ritorniamo al “ Diario”, a quel “ mondo” così lontano dalla nostra esperienza. Noi incontriamo una donna, una donna per altro colta, collaboratrice di un sacerdote, poi di un  Vescovo, di  un cardinale e, infine, di un Papa, pertanto di una persona non certo priva di impegni importanti ed onerosi!! Ebbene, dalla testimonianza della dott.ssa Wanda Poltwaska, si evince che il sacerdote con cui collaborava, veramente si “ prendeva cura” di lei, così come lo faceva per ogni persona che incontrava e, soprattutto, per quanti lo aiutavano nel suo impegno pastorale; lo faceva in un modo molto semplice, umano: mediante una vera amicizia, non condizionata dai tempi, dalle “ cose da fare”, dai modi, in un certo senso, neppure dalla posizione. Quanto hanno ricevuto i laici dal rapporto con il “ loro” sacerdote”!  Quanto ha ricevuto il sacerdote dall’amicizia con i suoi amici - collaboratori! Una reciprocità umana, spirituale, culturale che ha fatto crescere un popolo, una Nazione, una Chiesa!!   Una reciprocità fatta di incontri veri, di dialoghi mai provvisori, di parole di conforto, di contiguità umana, di tempo donato senza riserve. Una vicinanza che coinvolgeva l’intera esistenza, come possiamo constatare dallo scambio epistolare, dai biglietti che hanno accompagnato i vari momenti della vita del “ sacerdote” e dei suoi amici, prima ancora che collaboratori e, questo, fino alla sua morte!! Sia chiaro: stiamo parlando di tutte le persone che collaboravano con il Vescovo, non di alcune “ selezionate” secondo il criterio della “ simpatia”!
Ricorda Teresa Malecka che il futuro Papa, nonostante i gravosi impegni, “Trovava sempre il tempo per incontri  nelle nostre case, ritenendolo un impegno fondamentale. I temi dei colloqui erano diversi, dalle questioni della vita fino ai problemi ideologici, spesso fondamentali. Veniva nelle nostre case, seguiva la crescita dei nostri figli, si interessava ancora delle nostre questioni professionali…” .
Lo ricorda anche Wanda Poltawska quando parla delle lunghe passeggiate tra i boschi e della grazia di aver avuto accanto a sé un sacerdote che  “compiva  le funzioni sacerdotali proprio come è scritto nel Vangelo- pronto ad accompagnare non per cinque passi, ma per quanti erano necessari – e non gli era indifferente che cosa sarebbe accaduto al penitente, a quell’anima che gli era affidata”, Con stupore grato, poi, constata che “Quello che  derivava dalla mia debolezza non mi staccava mai da te, al contrario, risvegliava in te maggiore bontà e affetto, sempre quanto più mi era difficile, quanto più ero debole e povera tanto più cercavi di aiutarmi”  .
Abbiamo in più di un’occasione parlato dell’amicizia tra la dott. Poltawska e San Giovanni Paolo II,  un’amicizia che fa dire alla donna: Sto vivendo il realismo della fede in Dio, quale tu me l’hai mostrata e quale è… Ho sempre saputo che Cristo è Dio, ma solo ora, attraverso di te, ho capito che Cristo mi ama, che Cristo è stato dato agli uomini, appunto per l’amore di Dio Padre, per l’umanità. Il dialogo costante, le confidenze, il cammino umano e spirituale, in altre parole, l’amicizia fatta di gesti e parole, di silenzi e lontananza,  di autentica attenzione alla persona nella sua integralità, sono state la condizione su cui sì è costruita la collaborazione tra una donna laica e un pastore, una collaborazione che non è venuta meno con la morte del Papa. La dott.ssa Wanda Poltawska, ora ultranovantenne, seguendo e sviluppando gli insegnamenti di Giovanni Paolo II ( esito anche delle numerose conversazioni tra lei e il Papa stesso), ne continua la missione: educare le nuove generazione al valore della vita e della famiglia, doni di Dio da difendere dalle minacce del nostro egoismo e dal relativismo imperante.

Di fronte alla crisi delle vocazioni, sempre più urgente sembra l’impegno dei laici la cui partecipazione alla vita della Chiesa sarà fattiva e costruttiva se troveranno sacerdoti disposti a camminare insieme a loro, ad accoglierli e abbracciarli nella loro umanità, senza preclusioni e senza “ fretta”.  Che ogni laico impegnato possa dire, riferendosi al suo sacerdote: Quello che  derivava dalla mia debolezza non mi staccava mai da te, al contrario, risvegliava in te maggiore bontà e affetto, sempre quanto più mi era difficile, quanto più ero debole e povera tanto più cercavi di aiutarmi… La tua telefonata è stata come su richiesta. Mi ha tranquillizzata e ha spostato l’accento dalla paura alla speranza, alla fiducia. Mi hai detto: Gesù Dio che salva……… Ti tengo stretto per la mano attraverso un momento molto difficile

martedì 8 luglio 2014

“ Celebrando” una sconfitta

Due anni fa abbiamo voluto celebrare la vittoria di una squadra di calcio che, grazie al suo talento, aveva conquistato un terzo importante trofeo; oggi desideriamo rendere omaggio a questa stessa squadra, uscita prematuramente dal Campionato del mondo di Calcio che si sta disputando in Brasile.
Essere campioni del mondo ed essere eliminati dopo aver disputato solo due partite, può sicuramente demoralizzare, amareggiare, ferire: in effetti i giocatori della suddetta squadra hanno pianto, hanno sofferto, hanno provato dolore e delusione, persino hanno "litigato" , come può accadere in un qualsiasi gruppo quando le cose non vanno bene: si tratta di persone, di uomini e, come tali, hanno un cuore, presentano virtù e  limiti. La sconfitta e il fallimento, in tal senso,  possono costituire un' esperienza " positiva" , vorremmo dire, educativa, l’occasione per verificare l’autentica  umanità della persona, il suo vigore morale. Per comprendere ciò e' sufficiente volgere l' attenzione ad uno dei giocatori, il più rappresentativo in quanto artefice del trionfo mondiale di quattro anni fa e di quello europeo. Ebbene, dopo le due sconfitte, egli ha pianto, non ha nascosto tutto il suo dolore: il suo sguardo triste, “ perso” traduceva perfettamente una sua affermazione: “non ci sono parole per spiegare la delusione e il fallimento”.
Al di là del denaro, della fama, della popolarità, vi è l’umanissima tristezza di chi, preparatosi con impegno e animato dal desiderio di coronare i suoi sforzi, alla fine si è visto superato, sconfitto, calcisticamente umiliato. Ma nel frattempo abbiamo potuto ammirare l' assunzione di responsabilità: mai una parole contro qualcuno o qualcosa, piuttosto l’ammissione della propria inadeguatezza come di quella di tutta la compagine.  Non solo, nell' ultima partita, la sua centesima partita, non ha in alcun modo voluto attribuire valore al pur  importante traguardo personale, ma ha giocato da par suo, impegnandosi e dimostrando le sue indiscutibili qualità tecniche: si trattava di una partita inutile, l' ultima prima delle tanto agognate, e purtroppo premature  vacanze, eppure non ha esitato a dare tutto se stesso, come sempre, insegnando che la sconfitta, per quanto dolorosa, non detta la parola definitiva, anzi, può trasformarsi in una preziosa opportunità per misurare la propria forza, la propria tenacia, oseremmo dire, la grandezza di cuore; il giocatore di cui parliamo possiede tutto questo, come abbiamo potuto constatare in più di una circostanza, non ultima quella legata alla morte del figlio che la moglie attendeva.
Ci sono due momenti emblematici, immortalati da altrettante fotografie.  Al termine dell’ultima  partita, il suddetto sportivo si avvicina al suo allenatore e lo abbraccia: un abbraccio tenero, intenso, con il capo chino sulla spalla di colui che lo ha guidato ai trionfi; non era l' abbraccio tra un allenatore e un suo giocatore, ma tra un padre e un figlio, come confermato da quella carezza sul capo del suo giocatore da parte del mister.
L' altro momento e' stato altrettanto toccante: tornato a casa, amareggiato, affranto, forse preoccupato,umanamente preoccupato per il suo futuro calcistico,  come primo gesto ha sollevato la sua figlioletta, il suo più grande trofeo e, subito dopo, si è allontanato dall'aeroporto accompagnato da suo padre e da sua madre che, premurosa come tutte le mamma, reggeva i bagagli del figlio!
Sì, il  grande campione ha voluto anche, anzi, soprattutto nel momento della delusione, aver accanto a sé le persone più care, le uniche, insieme alla moglie, da cui si sente protetto ed amato, proprio come accade a ciascuno di noi.
In fondo, al di là delle vittorie, dei premi, delle coppe, ciò che conta veramente è la famiglia con i suoi affetti, i suoi valori, la sua forza. La famiglia dà sicurezza, gioisce e piange con noi, condivide i nostri successi, ci aiuta a rialzarci nel fallimento.
I successi sportivi possono riempire le pagine dei giornali per qualche giorno, per qualche anno, ma la famiglia rimane, sempre, cammina con noi, ci sostiene e dà senso alla nostra vita, è la ragione per cui siamo quel che siamo come uomini.
Il “ nostro” giocatore lo sa bene, talmente bene che, qualche giorno dopo il suo arrivo in patria, ha condiviso il suo tempo con ragazzi impegnati in un “ campus” da lui stesso voluto e patrocinato per insegnare non solo la tecnica calcistica, ma anche  lo spirito di sacrificio, il rispetto, la condivisione, l’umiltà, patrimonio valoriale, come lui stesso ama dire, ereditato dai suoi genitori. Un piccolo dettaglio costituirà  un ulteriore insegnamento per i “ suoi” ragazzi: di fronte alla possibilità che il ruolo di “ primo capitano”, che spetterebbe a lui di diritto, venga assegnato ad un suo collega, egli  ha così risposto ad un giornalista: decide l’allenatore. Una bella testimonianza per giovani impegnati nel loro percorso educativo e formativo!!

Mentre i media sono impegnati a celebrare squadre e campioni vincenti e i club a programmare il prossimo campionato con cifre da capogiro, un calciatore, per altro pluricampione ( 21 trofei vinti con la sua squadra, un campionato del mondo e due d’Europa con la selezione nazionale),  ci ricorda che la sconfitta, come la vittoria, non costituisce l’ultima parola, non definisce la nostra vita: il senso della nostra esistenza, il nostro stesso essere sono ben altro che una coppa, un trofeo, un “ pallone d’oro!!!

Desideriamo concludere questa particolare “ celebrazione”  di una sconfitta con una frase, pronunciata dal “ nostro” calciatore:

Héroes son los que luchan contra una enfermedad, o el que tiene que emigrar para dar de comer a sus hijos… Yo soy un privilegiado que juega al fútbol y que a veces tiene la suerte de hacer feliz a mucha gente metiendo un gol o dando un pase, ayudando a ganar un partido. Y eso es lo bueno de esta selección, que hemos dado un día de alegría a esos héroes anónimos sin muchas ocasiones para sonreír


( Eroi sono coloro che lottano contro una malattia o chi deve emigrare per dar da mangiare ai suoi figli..Io sono un privilegiato che gioca al calcio e che a volte ha la fortuna di far felice molta gente facendo un gol o con un passaggio, aiutando a vincere una partita. Ciò che è buono di questa squadra è aver dato un giorno di allegria a questi eroi anonimi che non hanno molte occasioni per sorridere)

venerdì 4 luglio 2014

San Giovanni Paolo II, libertà e Verità

Sono trascorsi  più di due mesi dalla canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. L’emozione è ancora palpabile nel nostro cuore, anche se, dobbiamo ammetterlo, per quanto ci riguarda Giovanni Paolo II era già santo da molto tempo; pertanto quanto accaduto il 27 aprile 2014 “ solo”sanciva ufficialmente ciò che per molti di noi era già realtà dal 1 Maggio 2014, anzi da sempre. Nonostante questo, lo stupore non si attenua, anzi si fa tremore, sgomento, senso di inadeguatezza. Oggi più che mai, percepiamo come un compito non più eludibile far sì che il grande insegnamento del Papa santo non “ ammuffisca” sotto coltri di polvere. Il pericolo, in fondo, è proprio questo: considerare la canonizzazione come alibi per archiviare  una volta per sempre il magistero del grande Papa, ridotto ad icona di devozione, ma non considerato stimolo e arricchimento per la fede dei credenti. Nulla di più errato, nulla di più devastante. La Chiesa contemporanea ha bisogno di riscoprire, studiare, assimilare quanto san Giovanni Paolo II ha lasciato in eredità in termini di testimonianza, ma anche di dottrina magisteriale.
Un’attenzione rinnovata dovrebbe essere rivolta alle encicliche che hanno segnato il cammino del pontificato e che possono continuare a segnare quello della Chiesa universale.
La prima, in qualche modo quella programmatica, è la “ Redemptor hominis”, che giustamente può essere ancora assunta quale Magna Charta del XXI secolo
Giovanni Paolo II: “ Dio ha rivelato la verità che la Chiesa deve custodire, ma nell’annunciare la verità, che non proviene dagli uomini ma da Dio, bisogna conservare profonda stima per l’uomo, per il suo intelletto, la sua volontà, la sua coscienza e la sua libertà” ( R.H, 12). Si tratta di un’affermazione estremamente importante in quanto chiarisce il rapporto tra libertà  e verità, rapporto messo in crisi già nella prima metà del XX° secolo ed oggi seriamente compromesso.
Il Papa, discepolo di una tradizione bimillenaria, non riduce l’uomo ad una dimensione meramente provvisoria, precaria, parziale; per lui l’uomo, immagine di Dio, è dotato di intelletto, cioè della capacità di “ leggere le realtà più profonde, leggere in profondità ”, pertanto, come scriveva Dante, della facoltà di avvicinarsi alla sapienza di Dio. Detto con altre parole, Dio, nel suo immenso amore,  creando l’uomo a sua immagina, ha permesso alla sua creatura di realizzare pienamente se stessa mediante la sua partecipazione, pur limitata, alle “ cose divine”. Qui risiede la dignità dell’uomo, qui la sua grandezza, qui la sua unicità: l’atto di fiducia di Dio provoca vertigine, è qualcosa di inaudito, verrebbe proprio da dire, “ dell’altro mondo”, se aggiungiamo il fatto che Dio rispetta a tal punto l’uomo da donargli la  libertà di rifiutare il suo amore, quindi la verità di sé e su di sé!Ma Dio ha donato all’uomo una libertà ancora più grande: “ Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, per cui, come scrive Giovanni Paolo II, è esigenza primaria quella di essere onesti nei riguardi della stessa verità, “ condizione di autentica libertà che è base della vera dignità”. Che cosa significa questo?  L’uomo deve evitare “ qualsiasi libertà apparente, ogni libertà superficiale ed unilaterale, ogni libertà che non penetri tutta la verità sull’uomo e sul mondo”. “ Tutta la verità”, scriveva il grande Papa, il che significa non ridurre la nostra umanità ad una dimensione parziale, legata spesso a desideri effimeri e superficiali, non di rado dettati da condizionamenti esterni. In tal senso l’invito rivolto dal Papa, più di molti altri, pur applauditi, appare veramente rispondere alla dignità dell’uomo e testimonianza di autentico amore.
In un  tempo in cui valori prima innegoziabili, sembrano divenir negoziabili, la lezione del Papa santo si rivela quanto mai preziosa e provocatoria per credenti e  non credenti.

sabato 26 aprile 2014

Una GRAZIA…

Mancano ormai poche ore: ciò che auspicavano nel giorno dei suoi funerali è ormai realtà. Giovanni Paolo II, insieme a Papa Giovanni XXIII, sarà proclamato “ santo”.

San Giovanni Paolo II: c’è in questa breve espressione qualcosa che, come abbiamo spesso raccontato, trascende noi stessi.
A pochi giorni dal Grande Evento ci chiediamo: che cosa significa per noi, che siamo cresciuti con Giovanni Paolo II, tutto questo? Che cosa significa per noi il riconoscimento della sua santità? Ci rendiamo veramente conto della Grazia di cui siamo fatti dono, noi generazione, forse, un po’ “ trascurata”,  in un certo senso penalizzata dal suo appartenere ad una fascia intermedia e, in qualche modo schiacciata da una parte dalla generazione precedente, quella delle contestazioni, e da quella successiva, quella internauta?
 Non è facile spiegarlo, non è facile farlo comprendere ad un giovane di 15 anni per il quale tutto sembra scontato. Vogliamo però tentare di raccontare ad un adolescente quali sia il senso di quanto stiamo per vivere, le ragioni per cui il mondo si stia mobilitando e centinaia di migliaia di persone si raduneranno per lodare e ringraziare Dio. Vogliamo dire a lui perché ci sentiamo una generazione privilegiata, nonostante tutto, nonostante i drammi, le fatiche, le paure che stiamo vivendo, soprattutto in termini lavorativi. Non è facile!!

Cari ragazzi, vi diranno, forse, che Giovanni Paolo II ha cambiato il mondo per aver contribuito alla caduta dell’Impero Sovietico e di altri regimi nel mondo; vi diranno che è stato il primo Papa ad entrare in una Sinagoga e in una Moschea; vi diranno che ha compiuto importanti gesti ecumenici, ha inventato le GMG, sua grande eredità ( e che eredità!!)…vi diranno tanto altro.
Ma Giovanni Paolo II , prima di tutto, ha cambiato il cuore di molti di noi indicando “ La Strada” e lo ha fatto non con parole e gesti accattivanti, “ socialmente corretti” ma attraverso la sua vita, tutta la sua vita.
Noi, giovani cinquantenni, ecco l’unicità della nostra esperienza, abbiamo visto con i nostri occhi un uomo che veramente non aveva paura di vivere la vita in pienezza, quando era vigoroso, ma, soprattutto, quando era debole, privo della possibilità, prima, di camminare e, poi, di parlare. Abbiamo visto un uomo ferito, colpito quasi a morte dalla cattiveria dell’uomo, ma abbiamo visto anche un uomo che, dal letto del suo ospedale, ancora in pericolo di vita, perdonava il suo attentatore. 
Abbiamo visto un uomo che abbracciava i lebbrosi, non  nell’opulento occidente, ma in sperdute isole del Pacifico. Abbiamo visto un uomo che non temeva di “ godere” del Creato.
Abbiamo visto un uomo che offriva la sua sofferenza a Dio per la salvezza dell’umanità.
Abbiamo visto un uomo che, due giorni prima di morire, ha voluto salutarci “ scrivendo” la più bella enciclica che mai sia stata pubblicata: abbiamo visto un uomo che ci ha insegnato a morire!!! Il resto lo possono insegnare anche altri leader, altri intellettuali:  ma questo no: non ci possono insegnare il senso della morte, non ci possono insegnare a morire!!!
Abbiamo visto ed abbiamo capito, abbiamo creduto a quelle parole da lui pronunciate quando noi, adolescenti,  certo, non potevamo comprenderne il significato. Egli, con voce forte, a tal punto forte da provocare non pochi sussulti, anche tra i cerimonieri, disse: “Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna”. Quali parole profetiche, parole ancora attualissime. Abbiamo creduto perché lui, per tutta la sua vita, ha permesso che Cristo entrasse pienamente nella sua vita, sempre.

Un ricordo: al termine della S. Messa, il Papa, tra lo stupore generale, percorse
il sagrato della Basilica per abbracciare i malati e i disabili!!!
Nel 2003, un Papa stanco e letteralmente piegato disse ai giovani: Cari giovani, solo Gesù conosce il vostro cuore, i vostri desideri più profondi. Solo Lui, che vi ha amati fino alla morte (cfr Gv 13,1), è capace di colmare le vostre aspirazioni. Le sue sono parole di vita eterna, parole che danno senso alla vita..” Nella sua ultima GMG ripeteva la verità con cui aveva introdotto il suo Pontificato,  lo faceva con una forza, se possibile, ancora più  vigorosa, impetuosa . Ci commosse, ma anche ci provocò, constatare la fede di un uomo che, come avrebbe poi fatto pochi giorni prima di morire, abbracciava il Crocifisso, quasi volendo condividere la sofferenza di Cristo e così completare  “ nella carne quello che manca ai patimenti di Cristo”. 
 In questi nove anni,i diversi stili ecclesiastici si sono succeduti, stili che hanno arricchito la Chiesa, sempre più maestra in un mondo sempre più complesso. Eppure, a pochi giorni dalla canonizzazione, ci rendiamo conto di quanto siano vere le parole pronunciate da Giovanni Paolo II…” I santi, loro sono i testimoni visibili della santità misteriosa della Chiesa. Essi sono rimasti i più umani degli uomini, ma la luce del Cristo ha penetrato tutta la loro umanità. Lo slancio che li ha animati non invecchia affatto. Sono i santi che la Chiesa beatifica e canonizza, ma anche tutti i santi nascosti, anonimi: essi salvano la Chiesa della mediocrità, la riformano dal di dentro, direi per contagio, e la trascinano verso quel che essa dev'essere. I Papi vengono a inchinarsi davanti a questi servitori di Dio... [Incontro con i giovani a Lucca 23 set 1989]


Sì, domenica due Papi si inginocchieranno  davanti a due Santi che, noi  ne siamo certi, continueranno a guidarci e ad intercedere presso Dio che ora “ vedono faccia a faccia”



mercoledì 11 dicembre 2013

Lo sport: i valori possibili

Questa settimana, come tradizione, prede avvio il “ Torneo Giovanile Karol Wojtyla” che ha ormai assunto una dimensione internazione per la provenienza delle squadre.
Giovanni Paolo II, lo sappiamo era molto vicino al mondo dello sport, come dimostrano innumerevoli discorsi, incontri, dialoghi.

Lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato e forse riscattato, oggi, dagli eccessi del tecnicismo e dal professionismo mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l’apertura degli uni verso gli altri, come espressione della ricchezza dell’essere, ben più valida e apprezzabile dell’avere, e quindi ben al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica ed edonistica della vita.  .. [ 12 Aprile 1984 ]

Queste parole pronunciate da chi ben conosceva il valore dello sport, sono da considerarsi utopistiche, espressione di una visione ideale, magari auspicabile, ma non certo reale? In un mondo dove tutto sembra ruotare intorno al denaro, alla fama, al successo, come quello dello sport, del calcio in particolare, ha ancora senso parlare di uno  educazione, di “ valorizzazione della persona umana, di rispetto e responsabilità? Oppure il cinismo, l’individualismo, l’esasperazione della vittoria costituiscono la cifra ormai distintiva di tale mondo?
Ad uno sguardo superficiale, parrebbe che l’ambiente dello sport, specie professionistico, non sia immune dalla crisi di valori che coinvolge la società contemporanea. Le cronache sportive, del resto, registrano episodi di violenza, di razzismo, ma anche esempi di trasgressione in campo e fuori,  non certo modello per i nostri giovani. Tutto vero. Aggiungiamo poi che nello sport, nel calcio in particolare, sono oggetto quasi di “ culto”,  personaggi mediatici, diremmo, capaci di “ bucare lo schermo non solo per le loro abilità: acclamati, esaltati, “ idolatrati da tifosi e media.

Ma lo sport non è solo questo!! Se si osserva con uno sguardo non parziale e distratto, si possono cogliere parole e gesti che nobilitano anche l’attività sportiva, anche un ambiente, quello del calcio, i cui protagonisti appaiono sempre di più solo come divi milionari. Ci riferiamo a gesti che, nella loro semplicità, rispondono in qualche modo al messaggio di Giovanni Paolo II.
Ecco alcuni esempi.
Al termine di una partita di calcio, il capitano della squadra vincitrice della Liga Spagnola ( il nostro Campionato di calcio), invece di alzare il trofeo, secondo tradizione, ha chiamato accanto a sè un suo compagno di squadra e l’allenatore: ha voluto, in accordo con tutti i suoi compagni, che loro due alzassero la coppa, loro che avevano combattuto una dura battaglia contro il cancro. Ciò ha un enorme significato, soprattutto per un mondo in  cui hanno valore solo il risultato, la vittoria, la fama, il riconoscimento, i premi, il denaro, l’efficienza fisica. Con un simile gesto, il capitano ed i suoi colleghi hanno dimostrato che ciò che conta è la “ vita”, quella reale, fatta di sofferenza, di dolore, di speranza; la vera vittoria non è quella conseguita sul campo, ma nella lotta quotidiana dell’esistenza, soprattutto quando questa è segnata dalla malattia, dalla debolezza, dalla paura. E il successo sportivo, così, diventa momento di condivisione, momento di amicizia, momento di autentica gioia, proprio perché fondato su valori non effimeri, ma profondamente umani.

Ma in quella serata, così speciale, un’altra immagine ha offerto un esempio di come lo sport dovrebbe essere vissuto: i giocatori, in mezzo al campo, hanno festeggiato con i loro bambini, con loro hanno ammirato lo spettacolo dei fuochi artificiali, con loro hanno voluto gioire. Anche in questo caso, non possiamo non cogliere una piccola lezione di umanità: la famiglia, gli affetti, la paternità ( in questo caso), rappresentato il cuore, l’essenza della vita. Sul campo si gioca, si lotta per ogni pallone, si perde e si vince, ma alla fine ciò che rimane, ciò che dà senso alla vita anche di questi campioni, è tutto racchiuso in quell’abbraccio tra una figlia e il suo papà. Del resto, uno di questi campioni, ad una domanda specifica così rispose: “la piccola mi dà la vita intera!!” Chi  ha così chiosato, è anche colui che, nel momento più alto della sua carriera, quando ha segnato in Sud Africa il gol che ha dato il Mondiale alla sua squadra, ha voluto “condividere” la sua gioia con l’amico scomparso l’anno prima, un  calciatore che militava nella squadra rivale della stessa città: quella maglietta con la scritta “ D.J sempre con noi” raccontava di un giovane giocatore che, neppure nel momento del massimo trionfo, poteva dimenticare l’amico e il dolore per la perdita. 
E qualche giorno ha voluto ricordare Nelson Mandela che egli incontrò per due volte. Nel 2007, mentre gli altri giocatori preferirono riposarsi in hotel, egli, insieme ad altri tre colleghi volle incontrare il grande leader recentemente scomparso…Tutto questo nella discrezione e nel nascondimento, lontano dai riflettori mediatici che catturano ogni gesto del campione di turno!!

“Vivete da uomini che restano tra loro amici e fratelli anche quando gareggiate per la “corona” di una terrena vittoria! Stringete le vostre mani, unite i vostri cuori nella solidarietà dell’amore e della collaborazione senza frontiere! Riconoscete in voi stessi, gli uni negli altri, il segno della paternità di Dio e della fratellanza in Cristo! “ , così Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo Internazionale degli sportivi ( Stadio Olimpico 12 Aprile 1984).

Non stupisce, allora, che un tale giocatore, uno dei migliori al mondo, sia applaudito in tutti gli stadi spagnoli, ma non solo: in Francia ed in Scozia i tifosi della squadra rivale, per altro sconfitta, si sono alzati in piedi per attribuirgli una commovente ovazione, un’ovazione al calciatore, al suo talento, ma soprattutto un’ovazione alla persona, al suo essere, alla sua umanità, alla sua semplicità ed umiltà.  Certo, anche lui guadagna molto, ma è anche vero che ha investito il suo denaro per acquistare un terreno per la coltivazione della vite ed ha creato un’azienda vinicola nella sua regione d’origine,  per altro non particolarmente ricca; sostiene economicamente la squadra in cui ha mosso i suoi primi passi da calciatore….e altro ancora. La ricchezza, come si può constatare, può diventare fonte di bene, occasione per aiutare gli altri, strumento per promuovere il lavoro e, quindi l’uomo. Anche un campione che ha vinto 21 trofei a livello nazionale e internazione con la stessa squadra, tre con la nazionale del proprio Paese ( 2 europei ed un m mondiale), può incarnare valori autentici a cui i giovani possono guardare per crescere secondo l’autentico spirito sportivo, così spesso invocato da Beato Giovanni Paolo II.


Dedichiamo questo post ad un campione molto speciale….anche senza “Pallone d’oro”. 

martedì 10 dicembre 2013

Le Braccia della Madre

Ogni uomo di fronte alla Madonna sperimenta qualcosa di indicibile, qualcosa che coinvolge tutti i suoi sensi e il suo intelletto, senza che sia però capace di trovare parole adeguate per  comunicare tale esperienza. Non è un caso che i grandi mistici ricorrano alla preghiera, precisamente  allo spirito contemplativo che da essa scaturisce. Come spesso viene ricordato, lo stesso Dante, di fronte alla Bellezza di Maria, fa pronunciare a S.Bernardo una delle preghiere più stupende che mai siano state scritte.

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.  Pd. XXXIII

In queste terzine dantesche troviamo tutta l’essenza , tutta la vertiginosa profondità di un Mistero divenuto dono per l’umanità.
“ Figlia del tuo figlio”: ricordando il passo dantesco, il beato Giovanni Paolo II,  coglieva, proprio nella totale appartenenza a Cristo, l’unicità della maternità di Maria: “ Ella riceve la vita da Colui al quale ella stessa diede la vita” ( Redemptoris  Mater, 10).
 Eletta da Dio,  Maria entra nel disegno salvifico proprio in forza della donazione totale di sé, del suo essere pienamente e totalmente immersa nel Mistero di Dio.   Ella è la creatura più “ alta”, più elevata proprio in virtù del suo essere “ umile”: “ si è abbandonata a Dio completamente, ha risposto con tutto il suo “io” umano, femminile” ( Redemptoris Mater”), cooperando così con la Grazia di Dio che sempre ha agito in Lei.
Nella carnalità di una donna, nel suo “ ventre”, l’Amore si è reso visibile all’umanità, in Lei è stato nutrito “ col suo sangue” , in lei è stato “custodito nell’estasi”. Karol Wojtyla, in una sua poesia, farà dire alla Madre di Dio: “ cresceva nel mio cuore in silenzio, come Nuovo Uomo/ tra i miei stupiti pensieri ed il lavoro quotidiano delle mie mani”. Maria, una madre, la Madre che condivide ogni istante della sua vita con il Figlio,  la Madre che ne scruta i pensieri mentre, come scrive Karol Wojtyla, “ in Lei il Figlio si “ avvezza ai pensieri dell’uomo”:  questa Madre, umanissima nel suo essere “ mamma” ( “ Figlio mio – nel villaggio dove tutti ci conoscevano entrambi/ mi dicevi “ Mamma” “, Stupore davanti all’Unigenito)  sperimenta la “ pienezza materna/ la pienezza che ignora sazietà” nel sentirsi toccata dallo sguardo del Figlio che penetra nella profondità del cuore di ogni uomo, del suo in modo così speciale. Ella, come una madre, ci ricorda sempre il futuro Papa, negli occhi del Figlio riconosce “ il lampo del cuore”, lo svelarsi del “ mistero dell’uomo” ed allora ecco che la sua maternità  si fa preghiera, si fa contemplazione: “ io resto tutta assorta nel tuo Segreto”, così dichiara la Madre a cui Giovanni Paolo II,  giovane sacerdote che, nell’affidamento a Maria, aveva riposto tutta la sua esistenza. E tale affidamento, questo suo “ essere di Maria” costituirà l’essenza più profonda del suo essere, del suo agire, del suo soffrire e del suo morire. Oggi, possiamo dire, anche della sua santità.
Giovanni Paolo II, il Papa che ha introdotto la recita del rosario il primo sabato del mese, da lui stesso guidata ovunque andasse, il Papa che ha voluto che l’immagine di Maria vegliasse per sempre sui fedeli  in piazza S. Pietro, il Papa della Consacrazione del mondo a Maria, è soprattutto il Papa che, “ totalmente assorto” nel Segreto della Beata Vergine, umilmente ha messo nelle Sue mani l’intera sua esistenza nella certezza che solo le braccia della Madre possono condurre alla Meta, cioè al Figlio; solo le braccia della Madre donano speranza e rendono certi i passi; solo le braccia della Madre non rendono vana la fatica.
Senza di Lei, senza la sua intercessione, ben poco potrebbe fare l’uomo, anche il più illuminato, anche il più saggio, anche il più capace. Il beato Giovanni Paolo II, con la sua stessa vita, è divenuto per l’umanità l’icona di un così potente affidamento: egli sapeva che solo  tra le “ braccia della Madre” tutto era possibile, persino ciò che gli uomini potevano ritenere impossibile. La storia, lo ripeteva sempre, non è il prodotto dell’azione dell’uomo, ma della presenza sconvolgente, commovente e vertiginosa di Maria, l’Immacolata.  E noi siamo stati testimoni di tutto questo!!!

“ Nella vita e nella morte tutto tutto tuo, Gesù, mediante l’Immacolata”


martedì 5 novembre 2013

SACERDOZIO – SANTITÀ

Il 1 Novembre,festa liturgica di Tutti i Santi, la Chiesa ci ha invitato a meditare sulla santità a cui ognuno di noi è chiamato.

Cracovia Cripta di S.Leonardo ( Wawel).


 Il 1 Novembre 1946, in una piccola cappella dell’Arcivescovado di Cracovia, per quel disegno stupendamente e misteriosamente scritto nel Grande Libro di Dio, un giovane diacono veniva ordinato sacerdote. Il card.Sapieha, nella sua lungimirante saggezza, volle che Karol Wojtyla venisse ordinato prima degli altri suoi compagni, perché potesse così partire per Roma, dove avrebbe continuato i suoi studi di teologia. Giovanni Paolo II, ricordando la data scelta dal suo Vescovo, riconosce che la sua ordinazione “ ebbe luogo in un giorno insolito per tali celebrazioni, la solennità di Tutti i Santi”( Dono e Mistero, pag. 51). Quel giovane sacerdote, che da Papa ancora si stupiva per la circostanza in cui ebbe luogo la sua ordinazione, fra qualche mese sarà proclamato Santo. Noi non crediamo alle coincidenze! In quanto accadde in quel lontano 1 Novembre, giorno di Ognissanti, non possiamo non cogliere un segno, l’inizio di un sigillo di Dio ad una vita che sarebbe stata tutta una risposta alla chiamata alla santità. 
In “ Dono e Mistero”Giovanni Paolo II, con forza, scrive: “ Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi! Soltanto un sacerdote santo può diventare , in un mondo sempre più secolarizzato, un  testimone trasparente di Cristo e del Suo Vangelo”. Da queste parole si evince con chiarezza quanto per il Papa il senso di ogni  Ordinazione, o meglio, la sua essenza profonda risieda nell’essere testimoni di Cristo, non in altro, fosse anche una tensione generosa e solidale verso i cosiddetti “ ultimi”, fosse anche una eccezionale capacità organizzativa e creativa. No, Giovanni Paolo II, proprio a partire dalla sua esperienza, era convinto che “ Il segreto più vero degli autentici successi pastorali non sta nei mezzi  materiali, ed ancor meno nei “mezzi ricchi”. I frutti duraturi degli sforzi pastorali nascono dalla santità del sacerdote. Questo è il fondamento!”.Come si può constatare, sacerdozio e santità sono due realtà indissolubile nel pensiero e nella vita del Papa. Che cosa significa questo?
Per rispondere proponiamo la testimonianza di una donna straordinaria che, a Dio piacendo, assisterà alla canonizzazione di colui al quale si rivolgeva chiamandolo fratello.  Stiamo parlando della dott.ssa Wanda Poltawska, amica  e “sorella” di Giovanni Paolo II.
La dott.ssa Poltawska, donna di profondissima fede, dopo aver sperimentato la crudeltà disumana dei campi di concentramento, non poté evitare di porsi domande cruciali sull’uomo e sul suo destino: come è possibile che l’uomo, immagine di Dio, venga a tal punto annientato, “ sfigurato”? come è possibile un simile abbruttimento della creatura di Dio contro un’altra creatura di Dio? Chi è l’uomo? Domande tremende, diremmo, tragiche, profondamente laceranti. Ebbene, per dare una risposta a tutti questi  dubbi che affliggevano la sua mente e la sua anima, si rivolse a più sacerdoti, ma senza esito. Lei stessa racconta: «Mi confessavo, e inizialmente avevo cercato di eliminare quelle mie inquietudini durante la confessione, ma non avevo ricevuto la risposta che cercavo…Una volta, dopo il turno al reparto, quando mi ero imbattuta in un problema la cui soluzione superava le mie possibilità e non sapevo come procedere, andai in chiesa, dai gesuiti, da un sacerdote che stava appunto in confessionale. Gli chiesi che cosa avrei dovuto fare in quel caso concreto. Il sacerdote, mi disse: “ Questo è un tuo problema, tu sei un medico cattolico, non io, è la tua coscienza che ti deve dare la risposta”..Non attesi neanche l’assoluzione, semplicemente mi alzai e me ne andai».  ( da Diario di un’amicizia pag.36)”
I dubbi rimanevano, non si dissolvevano, anzi, scrive “ crescevano”. E tutto questo fino a quando Wanda ( ci permettiamo di chiamarla così per il particolare legame spirituale che ci lega a lei) non trova la risposta, “ l’unica vera, che l’uomo può comprendere se stesso e gli altri solamente in Cristo”. Tale risposta, ricorda, venne come “ frutto di tante ore di preghiera e di meditazione, durante le passeggiate estive con il pastore di anime , don Karol Wojtyla”.
Ciò che colpisce è il modo in cui è avvenuto l’incontro, una modalità che riassume splendidamente il nesso imprescindibile tra sacerdozio e santità.  Wanda, nel corso della confessione, non si sentì dire: “ venga ad un incontro; nemmeno si sentì dire: “ venga da me”..No, don Wojtyla le disse: “ Vieni la mattina alla messa, vieni ogni giorno”. In questo invito è contenuta tutta l’essenza della santità di un sacerdote che, come ricorda sempre la dott.ssa Poltwaska, “ non voleva dare se stesso agli uomini, ma condurli a Cristo”.  Prima di tutto Cristo, prima di tutto l’affidarsi a Colui senza il Quale le risposte alle domande che tormentato l’uomo aprono voragini che alimentano inquietudini e disperazione. Affidarsi a Cristo significa vivere nella certezza che Dio è sempre accanto all’uomo riscattandone il male che, sulla Croce, ha voluto   redimere mediante il  Sacrificio del Figlio.
L’affidarsi è la misura dell’amore”, questo ha “imparato” Wanda Poltwaska  camminando lungo i sentieri del bosco, lungo il cammino di un’intera esistenza. E se l’” affidarsi è la misura dell’amore”, per i due amici – fratelli ha senso sperare, ha senso spendersi fino alla fine perché questo amore abbracci tutta l’esistenza nella sua drammatica e stupenda concretezza. Non è un caso che entrambi, ed insieme,  abbiano realizzato progetti, promosso iniziative, stimolato le coscienze, soprattutto nell’ambito della pastorale familiare e della tutela della vita, sempre e comunque.  Abbiamo già menzionato l’apertura di un consultorio familiare e  di un centro per la vita presso il palazzo arcivescovile di Cracovia, luoghi in cui famiglie in difficoltà potevano trovare un aiuto reale, concreto, ma altrettanto importanti erano i momenti di riflessione. Per comprendere è’ bene narrare un episodio, raccontato dalla stessa protagonista.  Una sera la dott.ssa Poltawska aveva organizzato  un incontro un per aiutare coppie in difficoltà. Mons. Wojtyla intervenne con parole che, nella loro semplicità, ebbero effetti forse insperati: « Dapprima provate a fare per voi stessi un programma minimo, non distruggete reciprocamente niente in voi, e dopo comincerete a costruire, ma per questo provate a pregare insieme. C’è solamente una via d’uscita da questa situazione, il cancello dell’umiltà. Che ognuno di voi si inginocchi e dica” E’ colpa mia”. Fino a quando direte: “ La colpa è tua”, non ci sarà via d’uscita». Queste parole incisero a tal punto sulle coppie presenti che la promotrice dell’iniziativa, pensando a quel primo incontro, non esita a parlare di “ grazia elargita”. Successivamente furono organizzate “ lezioni di etica matrimoniale che vennero poi incluse da Karol Wojtyla nell’Accademia Teologica Pontificia sotto forma di  Facoltà di Teologia della Famiglia…”. In gioco era, già allora, la salvezza della famiglia, anzi, come dice Wanda Poltwaska, la salvezza “della santità della famiglia”Da queste prime lezioni si è sviluppata una rete di persone qualificate per aiutare gli altri, quello che è stato giustamente definito il “ germe” del “Pontificio istituto per studi su matrimonio e famiglia”, inaugurato in una data speciale, il 13 Maggio 1981: anche in questa circostanza non vi è nulla  di casuale, vi è invece un  ulteriore sigillo di Dio, un sigillo con il quale la santità di un sacerdote è totalmente incardinata nella sequela di Cristo fino alla donazione di sé, fino, vorremmo dire, al martirio.
Ed allora, non possiamo non sentire nostre le parole vibranti della dott.ssa Wanda Poltwaska, parole che, come scriverà anni dopo Giovanni Paolo II, sanciscono la profonda unità tra sacerdozio e santità:
Mio grande Fratello, attraverso di te volevo amare Dio con tutte le forze, ringrazio Dio per la tua santità e per il tuo sacerdozio